Astercoop

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE GESTIONE E CONTROLLO EX D. LGS. 8/6/2001, n. 231
(Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone, delle società e delle associazioni anche priva di personalità giuridica)
Ente: Aster Coop Società Cooperativa
Via Oderzo n. 1, 33010 UDINE – ITALIA
C.F. e N.ro di Iscrizione al Registro delle Imprese di Udine: 00435320304
Approvato dal Consiglio di Gestione del 20/02/2023

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CAPITOLO I
CONCETTI INTRODUTTIVI

§ 1 – Introduzione: la responsabilità penale nella concezione tradizionale.
Nel nostro ordinamento, secondo una impostazione tradizionale che risale al Diritto romano,
si è per lungo tempo affermato che solo la persona fisica è suscettibile di responsabilità
penale, quale conseguenza della avvenuta commissione di un reato.
Il soggetto diverso dalla persona fisica (ossia il c.d ente) – come, ad esempio, l’associazione, la
fondazione, la società (lucrativa o cooperativa), l’ente pubblico di qualsiasi tipo – pur potendo
essere titolare di diritti e di doveri in proprio, tanto nel campo privato (es.: una società può
essere titolare della proprietà su un bene immobile), quanto nel campo del diritto pubblico
(es.: una società può essere titolare di una obbligazione di carattere tributario verso l’Agenzia
delle Entrate), non può tuttavia patire una sanzione penale: questa ha natura personale e
può perciò colpire solo la persona fisica che ha commesso il reato (art. 27: “…la
responsabilità penale è personale. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato…”).
La concezione tradizionale non significa che l’ente sia del tutto indifferente, sotto il profilo
giuridico, al reato commesso da un suo rappresentante o esponente.
Infatti, quando un esponente dell’ente ha commesso un reato ed è chiamato – come imputato
– a risponderne processualmente, l’ente può essere chiamato nel processo:
– in qualità di responsabile civile nel processo penale attivato nei confronti dell’esponente
persona fisica che ha commesso il reato. In tal caso l’ente, chiamato nello stesso processo penale
aperto contro il suo esponente, può essere in tale sede condannato a risarcire il danno civile patito
dalla persona che è stata offesa dal reato (ossia il danneggiato) e che si sia costituita quale parte
civile (art. 83 c.p.p.);
– in qualità di persona civilmente obbligata per la multa o per l’ammenda comminata
all’esponente persona fisica che ha commesso il reato e che viene chiamato a pagare allo Stato una
pena pecuniaria (multa o ammenda) allorquando il reato sia punito con tale tipo di sanzione e l’ente
sia stato chiamato a partecipare al processo penale in tale veste (art. 89 c.p.c.).
In entrambi i casi, tuttavia, la responsabilità dell’ente non è per fatto proprio, ma per
un fatto altrui, ed ha natura meramente civile. Tanto ciò è vero che, ove l’ente paghi i
danni alla parte offesa oppure assolva alla sanzione pecuniaria allo Stato, l’ente ha certamente
diritto di rivolgersi al proprio esponente e chiedere la restituzione di quanto abbia pagato in
sua vece.
§ 2 – L’entrata in vigore del D. Lgs. 231.
L’impostazione tradizionale, più sopra sommariamente tratteggiata, è stata sottoposta a
severa critica negli ultimi anni del secolo scorso, allorquando – a seguito di una serie di gravi
scandali, soprattutto di natura finanziaria e speculativa dei quali sono state protagoniste
principalmente grosse corporations nordamericane – si è dovuto ammettere che talvolta
l’ente (in questo caso: l’impresa esercitata in forma societaria) si pone esso stesso al
centro dell’agire criminale. Ciò accade quando la commissione di reati gravi da parte dei
suoi esponenti è parte essenziale della politica imprenditoriale dell’ente (c.d. corporate
crime).
E’ proprio in relazione a simile evenienza che si è suggerito di introdurre a carico dell’ente
una forma di responsabilità diretta e propria, tendente a scattare quale conseguenza
dell’avvenuta commissione di un reato da parte di un esponente-persona fisica, la cui azione
sia comunque riconducibile all’ente, che ne abbia tratto vantaggio quando non l’abbia
addirittura ordinata.
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito, il D.lgs. 231/2001 o anche solo il
Decreto 231), in attuazione della delega conferita al Governo con l’articolo 11 della Legge 29
settembre 2000, n. 300, ha introdotto nell’ ordinamento giuridico italiano, per la prima
volta, la disciplina della “Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da
reato”.
§ 3 – Caratteri essenziali del regime introdotto dal D. Lgs. 231.
La nuova disciplina si applica agli enti dotati di personalità giuridica (fondazioni e
associazioni riconosciute, tutte le società di capitali, tutte le società cooperative), alle società e
associazioni anche prive di personalità giuridica (associazioni non riconosciute, comitati,
società di persone, consorzi senza personalità giuridica, fondazioni non riconosciute) (art. 1,
comma 2), mentre ne restano esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici
non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1, comma
3).
L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, ad opera di
una serie di soggetti determinati (art. 5, comma 1):
(a) persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di gestione o di direzione dell’ente o
di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da
persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente stesso (c.d.
soggetti apicali);
(b)persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali.
L’ente non risponde, per espressa previsione legislativa (art. 5, comma 2), se i predetti
soggetti hanno agito nell’interesse esclusivo proprio, o di terzi.
L’ente può essere ritenuto responsabile soltanto per i reati espressamente richiamati, se
commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti qualificati sopra individuati. Vige
dunque il principio di stretta tipicità: figure delittuose non previste dalla disciplina vigente
come specificamente portatrici di responsabilità per l’ente non danno luogo a tale tipo di
conseguenza, pure se – in ipotesi – il fatto illecito sia stato commesso nell’interesse dell’ente.
§ 4 – Natura della responsabilità dell’Ente.
Il nuovo regime introduce nel nostro ordinamento una forma di responsabilità dell’ente che,
pur formalmente dovendo qualificarsi come di natura amministrativa, tuttavia utilizza
parecchi principi di stampo e provenienza schiettamente penalistica. Si pensi, a titolo
esemplificativo, alle disposizioni che sanciscono: il principio di legalità e determinatezza della
fattispecie (art.2); il principio della legge più favorevole nella successione di leggi nel tempo
(art.3); il principio di stretta tipicità delle sanzioni (art.9); il principio della continuazione fra
gli illeciti (art.21); il principio della sanzionabilità del delitto tentato (art.26); il principio della
estensione all’ente della disciplina processuale propria dell’indagato e, poi, dell’imputato
(art.34).
§ 5 – Gli autori del reato: soggetti in posizione apicale e soggetti sottoposti all’altrui
direzione.
L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, ad opera di
una serie di soggetti determinati (art. 5, comma 1):
(c) persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di gestione o di direzione dell’Ente o
di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da
persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’Ente stesso (c.d.
soggetti apicali);
(d)persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali.
L’ente invece non risponde, per espressa previsione legislativa (art. 5, comma 2), se i predetti
soggetti hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
§ 6 – Fattispecie di reato (Reati presupposto).
L’ente può essere ritenuto responsabile soltanto per i reati espressamente richiamati, se
commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti qualificati sopra individuati.
Alla data di emissione del presente documento, le fattispecie delittuose rilevanti sono quelle
identificate nel catalogo inserito nel Capitolo III del presente documento (I reati presupposto
ex D. Lgs. 231/01).
§ 7 – Le sanzioni.
Le sanzioni previste dal decreto 231 a carico dell’ente, in conseguenza della commissione o
tentata commissione degli specifici reati presupposti sono le seguenti (art.9):
(a) sanzioni pecuniarie;
(b) sanzioni interdittive.
Le sanzioni pecuniarie sono determinate attraverso un sistema basato su quote, in numero
non inferiore a 100 e non superiore a 1.000, di importo variabile fra un minimo di Euro
258,00 e un massimo di Euro 1.549,00 (art.10), con esclusione del pagamento in misura
ridotta e salvi i casi di riduzione contemplati dall’art. 12 (nonché dall’art. 26, in tema di delitto
tentato).
Il Giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado
della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare od attenuare le
conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L’importo della
quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente, allo scopo di
assicurare l’efficacia della sanzione (art.11).
Le sanzioni interdittive (applicabili anche come misure cautelari) hanno durata non inferiore
a tre mesi e non superiore a due anni (fatta salva l’applicazione del più grave regime previsto
dall’art. 25 c. 5) e possono consistere in: interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o
revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
divieto di contrarre con la Pubblica amministrazione; esclusione da agevolazioni,
finanziamenti, contributi o sussidi e eventuale revoca di quelli concessi; divieto di
pubblicizzare beni o servizi; confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato (sequestro
conservativo, in sede cautelare); pubblicazione della sentenza di condanna.
Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai soli reati per i quali sono espressamente
previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni (art.12):
(a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da
soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando,
in tale ultimo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi
carenze organizzative;
(b)in caso di reiterazione degli illeciti.
Le sanzioni dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, del divieto di contrarre con la Pubblica
Amministrazione e del divieto di pubblicizzare beni o servizi possono essere applicate – nei
casi più gravi – in via definitiva (art. 16).
Si segnala, inoltre, la possibile prosecuzione dell’attività dell’ente (in luogo dell’irrogazione
della sanzione) da parte di un commissario nominato dal Giudice (art. 15), quando ricorre una
delle seguenti condizioni:
(a) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione
può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
(b)l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e
delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni
sull’occupazione.
§ 8 – Delitti tentati.
Nelle ipotesi di commissione, nelle forme del tentativo, di uno dei eeati presupposti, le
sanzioni pecuniarie (in termini di importo) e le sanzioni interdittive (in termini di tempo)
sono ridotte da un terzo alla metà, mentre è esclusa l’irrogazione di sanzioni nei casi in cui
l’ente impedisca volontariamente il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento (art.
26).
L’esclusione di sanzioni si giustifica, in tale secondo caso, in forza dell’interruzione di ogni
rapporto di immedesimazione tra ente e soggetti che assumono di agire in suo nome e per suo
conto.
§ 9 – Vicende modificative dell’ente.
Il Decreto 231 disciplina il regime della responsabilità patrimoniale dell’ente, anche in
relazione alle vicende modificative quali la trasformazione, la fusione, la scissione e la
cessione d’azienda. Qui il legislatore ha tenuto conto di due esigenze contrapposte: da un
lato, evitare che tali operazioni possano costituire uno strumento per eludere agevolmente la
responsabilità amministrativa dell’ente; dall’altro, non penalizzare interventi di
riorganizzazione privi di intenti elusivi.
In caso di trasformazione, operazione che implica un semplice mutamento del tipo di società
(o di ente), senza determinare l’estinzione del soggetto giuridico originario, resta ferma la
responsabilità dell’ente per i reati commessi anteriormente alla data in cui la trasformazione
ha avuto effetto.
In caso di fusione, l’ente che risulta dalla fusione (anche per incorporazione) risponde dei
reati di cui erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione. L’ente risultante dalla fusione,
infatti, assume tutti i diritti e obblighi delle società partecipanti all’operazione (art. 2504-bis,
primo comma, c.c.) e, facendo proprie le attività aziendali, accorpa altresì quelle nel cui
ambito sono stati posti in essere i reati di cui le società partecipanti alla fusione avrebbero
dovuto rispondere.
Nel caso di scissione parziale, la società scissa rimane responsabile per i reati commessi
anteriormente alla data in cui la scissione ha avuto effetto. Gli enti beneficiari della scissione
(sia totale che parziale) sono solidalmente obbligati al pagamento delle sanzioni pecuniarie
dovute dall’ente scisso per i reati commessi anteriormente alla data in cui la scissione ha
avuto effetto, nel limite del valore effettivo del patrimonio netto trasferito al singolo ente.
Tale limite non si applica alle società beneficiarie, alle quali risulta devoluto, anche solo in
parte, il ramo di attività nel cui ambito è stato commesso il reato.
Le sanzioni interdittive relative ai reati commessi anteriormente alla data in cui la scissione
ha avuto effetto si applicano agli enti cui è rimasto o è stato trasferito, anche in parte, il ramo
di attività nell’ambito del quale il reato è stato commesso (artt. 28, 29 e 30).
In caso di sanzione interdittiva, l’ente che risulterà responsabile a seguito della fusione o della
scissione potrà chiedere al Giudice la conversione della sanzione interdittiva in sanzione
pecuniaria, a patto che: la colpa organizzativa che abbia reso possibile la commissione del
reato sia stata eliminata, e l’ente abbia provveduto a risarcire il danno e messo a disposizione
(per la confisca) la parte di profitto eventualmente conseguito (art. 31).
La disciplina consente al Giudice di tener conto delle condanne già inflitte nei confronti degli
enti partecipanti alla fusione o dell’ente scisso al fine di configurare la reiterazione (art. 20), in
rapporto agli illeciti dell’ente risultante dalla fusione o beneficiario della scissione, relativi a
reati successivamente commessi.
Per le fattispecie della cessione e del conferimento di azienda è prevista una disciplina
unitaria, modellata sulla generale previsione dell’art. 2560 c.c.; il cessionario, nel caso di
cessione dell’azienda nella cui attività è stato commesso il reato, è solidalmente obbligato al
pagamento della sanzione pecuniaria comminata al cedente, con le seguenti limitazioni: è
fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente; la responsabilità del
cessionario è limitata al valore dell’azienda ceduta e alle sanzioni pecuniarie che risultano dai
libri contabili obbligatori ovvero dovute per illeciti amministrativi dei quali era, comunque, a
conoscenza. Al contrario, resta esclusa l’estensione al cessionario delle sanzioni interdittive
inflitte al cedente (art.33).
§ 10 – Reati commessi all’estero.
L’ente può essere chiamato a rispondere in Italia in relazione a reati contemplati dal Decreto e
commessi all’estero, e ciò per l’intento del Legislatore di non lasciare sfornita di sanzione una
situazione criminologica di frequente verificazione e di evitare per tale via facili ipotesi di
elusione dell’intero impianto normativo in oggetto.
I presupposti su cui si fonda la responsabilità dell’ente per reati commessi all’estero sono (art.
4): il reato deve essere commesso all’estero da un soggetto funzionalmente legato all’ente;
l’ente deve avere la propria sede principale nel territorio dello Stato italiano; l’ente può
rispondere solo nei casi e alle condizioni previste dagli artt. 7, 8, 9, 10 del Codice penale. Si
tratta di una serie ipotesi, piuttosto ampia, che comprende, sinteticamente i seguenti delitti
commessi all’estero da cittadini italiani o stranieri: delitti contro la personalità dello Stato
italiano; delitti di falso; delitti commessi da pubblici ufficiali dello Stato italiano; delitti comuni
puniti con pena detentiva superiore nel minimo a tre anni. Si aggiungono poi i delitti
commessi all’Estero da cittadino estero, purché in danno dello Stato italiano o di un cittadino
italiano, puniti con pena detentiva non inferiore nel minimo ad un anno.
Il rinvio al Codice penale è da coordinare con le previsioni degli articoli da 24 a 25duodecies
del Decreto, sicché – in ossequio al principio di legalità – a fronte della serie di reati
menzionati dagli artt. 7-10 c.p., l’Ente potrà rispondere soltanto di quelli per i quali la sua
responsabilità sia prevista da una disposizione legislativa ad hoc.
Da notare che, pur sussistendo i casi e le condizioni di cui ai predetti articoli 7-10 del Codice
penale, non si procede nei confronti dell’Ente, ove lo Stato del luogo in cui è stato commesso il
fatto non stia a sua volta procedendo (art.4).
§ 11 – Procedimento di accertamento dell’illecito.
La responsabilità per l’illecito derivante da reato presupposto viene accertata nell’ambito di
un procedimento penale.
In ossequio a ragioni di effettività, omogeneità ed economia processuale, è obbligatorio che il
procedimento nei confronti dell’ente rimanga riunito, per quanto possibile, a quello
instaurato nei confronti della persona fisica autore del Reato presupposto (art. 38).
L’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi
sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo; quando il legale
rappresentante non compare, l’ente costituito è rappresentato dal difensore (art. 39).
§ 12 – Modelli di organizzazione, gestione e controllo.
Aspetto fondamentale del Decreto è l’attribuzione di un valore esimente/scusante ai
modelli di organizzazione, gestione e controllo dell’Ente.
In caso di reato commesso da un soggetto in posizione apicale, infatti, l’Ente non risponde,
se prova che (art. 5):
(a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del
fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di
quello verificatosi;
(b)il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro
aggiornamento è stato affidato ad un organismo della società dotato di autonomi
poteri di iniziativa e di controllo;
(c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di
organizzazione e di gestione;
(d)non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza.
In caso di reato commesso da soggetti sottoposti all’altrui vigilanza, la responsabilità
dell’Ente è esclusa quando:
(a) alla commissione del reato non ha contribuito l’inosservanza degli obblighi di
direzione o vigilanza;
(b)prima della commissione del reato l’ente abbia adottato ed efficacemente attuato un
Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie
di quello verificatosi.
Secondo il Decreto 231, il Modello di organizzazione e di gestione deve individuare le attività
nel cui ambito possono essere commessi reati; prevedere specifici protocolli diretti a
programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni della società in relazione ai reati da
prevenire; individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la
commissione dei reati; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo
deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; introdurre un Codice etico
e/o altro strumento disciplinare generale, idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle
misure indicate nel Modello (art.6, comma 2).
Il Modello, inoltre, deve prevedere (art. 6) quanto segue:
a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell’articolo 5, comma 1,
lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni
circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del decreto e fondate su
elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e
gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte;
tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di
gestione della segnalazione;
b) b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità
informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante;
c) c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del
segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;
d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei
confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo
o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.
Il decreto, inoltre, prevede la nullità dei provvedimenti e/o delle misure adottate nei
confronti dei segnalanti ove fondate su intenti discriminatori e/o ritorsivi; in tale ambito, è
prevista una presunzione della sussistenza del carattere discriminatorio e/o ritorsivo delle
misure/provvedimenti adottati nei confronti di soggetti che abbiano segnalazioni in
precedenza, con onere in capo al datore di lavoro di dimostrazione che il
provvedimento/misura adottato poggia su ragioni diverse dalla segnalazione predetta.
L’esclusione della responsabilità dell’Ente dipende dall’efficace attuazione del Modello; ciò
significa che lo stesso deve avere dei caratteri di adattabilità, che lo rendano sempre attuale
rispetto alla realtà sociale di riferimento.
A questo scopo si deve prevedere: la verifica periodica e l’eventuale modifica del Modello
quando emergano significative violazioni delle prescrizioni o quando si verifichino mutamenti
nell’organizzazione e nell’attività; un Codice Etico idoneo a sanzionare il mancato rispetto
delle misure indicate nel Modello.
§ 13 – Codici di comportamento predisposti dalle Associazioni rappresentative degli
enti.
Il Decreto 231 prevede che “I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati,
garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle
associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della Giustizia che, di concerto
con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei
modelli a prevenire i reati”.
Confindustria, ha definito le Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,
gestione e controllo, che contengono indicazioni metodologiche per l’individuazione delle aree
di rischio (settore/attività nel cui ambito possono essere commessi reati), per la
progettazione di un sistema di controllo (i c.d. protocolli per la programmazione della
formazione ed attuazione delle decisioni dell’Ente) ed enunciano i contenuti indispensabili del
Modello di organizzazione, gestione e controllo.
In particolare, le Linee Guida di Confindustria individuano le seguenti fasi per la definizione
del Modello:
(a) identificazione dei rischi e dei protocolli;
(b)predisposizione di sistemi di controllo preventivo;
(c) adozione di strumenti generali quali il Codice di comportamento e/o un Codice Etico
che prendano in considerazione i reati richiamati nel Decreto;
(d)individuazione dei criteri per la scelta dell’Organismo di Vigilanza, dei suoi requisiti,
compiti e poteri e degli obblighi di informazione.
Le Linee Guida sono state sottoposte all’approvazione del Ministero della Giustizia, che le ha
giudicate “complessivamente adeguate al raggiungimento dello scopo fissato dall’art. 6, 3°
comma, D. Lgs. 231/01” in quanto “oltre a contenere un’illustrazione sintetica dei contenuti del
decreto legislativo che ha introdotto la responsabilità amministrativa delle imprese, le linee
guida forniscono infatti agli associati indicazioni chiare e puntuali pressoché su tutti gli aspetti
che il citato art. 6 elenca ai fini della predisposizione dei modelli di organizzazione aziendale,
proponendo per ognuno di tali aspetti varie alternative, mettendo in guardia dai possibili
pericoli o svantaggi derivanti dall’adozione di determinate strategie aziendali, individuando
puntualmente le aree di rischio per ciascuna tipologia di reati”.
§ 14 – Sindacato di idoneità.
L’accertamento della responsabilità dell’Ente, attribuito al Giudice penale, avviene mediante
un procedimento valutativo in due fasi: la verifica della sussistenza del reato presupposto per
la responsabilità della società; il sindacato di idoneità sui modelli organizzativi adottati.
Il sindacato del Giudice circa l’astratta idoneità del Modello organizzativo a prevenire i Reati
presupposto è condotto secondo il criterio della c.d. “prognosi postuma”: il Giudice si colloca,
idealmente, nella realtà aziendale nel momento in cui si è verificato l’illecito, per saggiare la
congruenza del Modello adottato. Va giudicato idoneo a prevenire i reati il Modello
organizzativo che, prima della commissione del reato, potesse e dovesse essere ritenuto tale
da azzerare o, almeno, minimizzare, con ragionevole certezza, il rischio della commissione del
reato successivamente verificatosi.

CAPITOLO II
SINTETICA DESCRIZIONE DELLA REALTA’ AZIENDALE
E METODO DI SVOLGIMENTO PRESCELTO

§ 1 – Attività di Aster Coop.
L’oggetto sociale di Aster Coop è il seguente (estratto dal vigente statuto):
(a) terziarizzazione parziale o totale dei processi logistici aziendali, in ogni fase della catena
(rifornimento di materie prime e semilavorati, immagazzinamento di prodotti finiti,
distribuzione), ivi comprese le operazioni accessorie, quali, esemplificativamente, controllo
qualitativo e quantitativo delle merci e delle giacenze, imballaggio, raccolta degli ordinativi,
spedizione, contabilizzazione;
(b) movimentazione di beni, prodotti, attrezzature, merci, contenitori ed ogni altra cosa
mobile, con o senza l’ausilio di mezzi meccanici;
(c) autotrasporto merci per conto proprio e per conto terzi;
(d) esercizio di servizi ferroviari, per conto proprio e conto terzi;
(e) handling portuale ed aeroportuale ed operazioni correlate;
(f) gestione, anche in outsourcing, di magazzini ordinari, di magazzini frigoriferi, di magazzini
stagionatori e di invecchiamento a temperatura costante e controllata, di magazzini per
medicinali, di archivi per documenti, di silos, di piattaforme logistiche, di depositi, di
distriparks ed altri nodi logistici, anche intermodali;
(g) progettazione, preventivazione, avviamento operativo, formazione profes-sionale,
monitoraggio delle perfomances ed altre attività preparatorie, di studio ed analisi nel campo
della logistica, del deposito, del trasporto, delle spedizioni e delle altre operazioni connesse,
con esclusione delle attività riservate dalla legge ad iscritti a particolari Albi o elenchi;
(h) facchinaggio, anche con l’ausilio di mezzi meccanici, ed attività a questo preliminari,
complementari o accessorie, quali insacco, pesatura, legatura, accatastamento,
disaccatastamento, pressatura, imballaggio, selezione e cernita, deposito, presa in consegna;
(i) pulizia di magazzini, depositi, piazzali, carri, autocarri, contenitori, celle frigorifere, con
correlative operazioni relative a rifiuti e materiali di risulta;
(j) ogni altro servizio, anche diverso da quelli specificamente menzionati alle lettere
precedenti, avente comunque natura logistica o connessione con attività di logistica già svolte
dalla Cooperativa.
Aster Coop si è dotata di un sistema di amministrazione dualistico. Essa è amministrata da un
Consiglio di gestione, secondo quanto deliberato dal Consiglio di sorveglianza chiamato a
nominare l’Organo amministrativo.
I componenti l’Organo amministrativo possono essere soci o non soci, e, salva diversa
deliberazione dell’Assemblea, durano in carica tre esercizi e sono rieleggibili.
Il Consiglio di gestione è composto da un minimo di tre a un massimo di cinque membri; il
numero viene fissato dal Consiglio di sorveglianza all’atto della elezione.
Il Consiglio di gestione è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria
della società.
Il potere di rappresentare la Società davanti ai terzi ed in giudizio, nonché quello di firmare in
nome della Società, spettano al Presidente del Consiglio di gestione ed ai Consiglieri delegati,
entro i limiti delle deleghe di funzioni ad essi attribuite.
La struttura organizzativa della Società è quella descritta nell’Organigramma che costituisce
Allegato 1 al presente documento.
Il Consiglio di sorveglianza si compone di ventuno membri effettivi e quattro supplenti, eletti
dall’Assemblea ordinaria dei Soci, dei almeno quali almeno un membro effettivo deve essere
iscritto nel Registro dei Revisori contabili istituito presso il Ministero di Grazia e Giustizia.
I componenti del Consiglio di Sorveglianza restano in carica per tre esercizi e scadono alla
data dell’assemblea ordinaria convocata in relazione al bilancio relativo all’ultimo esercizio
della loro carica.
La cessazione per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il Consiglio di
Sorveglianza è stato ricostituito.
I componenti del Consiglio di Sorveglianza sono rieleggibili e sono revocabili dall’assemblea
ordinaria in qualunque tempo.
Il Consiglio di Sorveglianza nomina e revoca i componenti del Consiglio di Gestione e ne
determina il compenso; approva il bilancio di esercizio, in tempi tali da consentire il rispetto
dei termini previsti dal precedente articolo 30 e, ove redatto, il bilancio consolidato; vigila
sull’osservanza della legge e del presente Statuto, sul rispetto dei principi di corretta
amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo
e contabile adottato dalla Cooperativa e sul suo concreto funzionamento; promuove
l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del Consiglio di Gestione;
presenta la denunzia al Tribunale di cui all’art. 2409 del Codice Civile; riferisce per iscritto
all’Assemblea, almeno un volta all’anno, sull’attività di vigilanza svolta, sulle omissioni e sui
fatti censurabili rilevati; delibera in ordine ai piani strategici, industriali e finanziari della
Cooperativa predisposti dal Consiglio di Gestione, ferma in ogni caso la responsabilità di
questo per gli atti compiuti; assolve tutte le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge.
In caso di mancata approvazione del bilancio o qualora lo richieda almeno un terzo dei
componenti del Consiglio di Gestione o del Consiglio di Sorveglianza, la competenza per
l’approvazione del bilancio di esercizio viene attribuita all’Assemblea ordinaria.
§ 2 – Progetto e metodologia prescelti.
L’adozione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo a norma del Decreto e la sua
efficace e costante attuazione, oltre a rappresentare un motivo di esenzione dalla
responsabilità della Società con riferimento alla commissione di alcune tipologie di reato, è un
atto di responsabilità sociale di Aster Coop, da cui scaturiscono benefici per tutti i portatori di
interessi qualificati alla regolare gestione della Società.
Per l’adozione consapevole di un Modello, è innanzitutto necessario conseguire e mantenere
una conoscenza minima, seppure non tecnica, delle fattispecie di reato-presupposto. Tale
conoscenza permette ai diversi soggetti di comprendere già a-priori quali attività possano
eventualmente sfociare in una responsabilità prevista dal Decreto.
Alla conoscenza delle fattispecie di reato-presupposto è preordinato il Capitolo III, nell’ambito
del quale sono presentate sinteticamente tutte le fattispecie rilevanti.
L’art. 6, comma 2, lett. a) del Decreto indica, tra i requisiti del Modello, l’individuazione dei
processi e delle attività nel cui ambito possono essere commessi i reati espressamente
richiamati dal decreto stesso. Si tratta di quelle attività e processi aziendali che comunemente
vengono definiti “sensibili”.
Propedeutica all’individuazione delle Attività Sensibili è stata l’analisi del modello di business
(analisi del modello dei processi primari e secondari), del modello di controllo in essere svolta
al fine di meglio comprendere gli ambiti aziendali oggetto di analisi nonché
dell’organizzazione, del modello operativo e delle procure/deleghe conferite; ciò ha
consentito, fra l’altro, una preliminare identificazione delle funzioni responsabili delle Attività
sensibili.
Ulteriore attività è stata l’identificazione dei soggetti aziendali che, in base a funzioni e
responsabilità, hanno una conoscenza approfondita delle Attività sensibili. Da tali soggetti
sono state raccolte, mediante interviste e mediante analisi della documentazione sociale, una
serie di informazioni essenziali, dalle quali è scaturita una mappatura delle Attività Sensibili.
Si è successivamente indagato in punto sistemi di controllo esistenti, considerando i seguenti
principi di riferimento:
(a) esistenza di procedure formalizzate;
(b) segregazione (articolazione) dei compiti;
(c) adeguatezza della tracciabilità e verificabilità ex post delle transazioni tramite adeguati
supporti documentali/informativi;
(d) adeguatezza del sistema delle deleghe.
Attraverso l’analisi dei diversi modelli teorici di riferimento basati sul contenuto della
disciplina del Decreto, sono stati individuati i requisiti organizzativi caratterizzanti un
Modello di organizzazione, gestione e controllo “specifico”, conforme a quanto disposto dal
Decreto.
A seguito delle attività svolte è stato predisposto un documento di analisi dei processi
sensibili e del sistema di controllo, con evidenza dei processi elementari/attività svolte; delle
funzioni/soggetti interni/esterni coinvolti; dei relativi ruoli/responsabilità; del sistema dei
controlli esistenti.
La descrizione delle attività sopra indicate è svolta nel Capitolo IV.
Nel Capitolo V si è passati a definire il Modello di organizzazione, gestione e controllo di Aster Coop,
ai sensi del d.lgs. 231/2001, articolato in tutte le sue componenti.
La realizzazione della fase è stata supportata sia dai risultati delle fasi precedenti sia delle scelte di
indirizzo degli organi decisionali della Società.
§ 3 – Scopo del Modello.
Scopo del Modello è la costruzione di un sistema strutturato ed organico di procedure nonché
di attività di controllo, da svolgersi anche in via preventiva, volto a prevenire la commissione
di diverse tipologie di reato contemplate dal Decreto.
In particolare, mediante l’individuazione delle aree a rischio e la loro conseguente
proceduralizzazione, il Modello si propone di:
– determinare in tutti coloro che operano in nome e per conto di Aster Coop nelle aree a
rischio reato, la consapevolezza di poter incorrere, in caso di violazione delle
disposizioni ivi riportate, in un illecito passibile di sanzioni, sul piano penale ed
amministrativo, non solo nei propri confronti, ma anche nei confronti dell’azienda;
– ribadire che tali norme di comportamento illecito sono fortemente condannate da
Aster Coop in quanto (anche nel caso in cui la Società fosse apparentemente in
condizione di trarne vantaggio) sono comunque contrarie, oltre che alle disposizioni di
legge, anche ai principi etico-sociali cui Aster Coop intende attenersi nell’espletamento
della propria missione aziendale;
– consentire alla Società, grazie ad un’azione di monitoraggio sulle aree a rischio, di
intervenire tempestivamente per prevenire o contrastare la commissione dei reati
stessi.
Punti cardine del Modello sono, oltre ai principi già indicati:
– l’attività di sensibilizzazione e diffusione a tutti i livelli aziendali delle regole
comportamentali e delle procedure istituite;
– la mappa delle aree a rischio dell’azienda, vale a dire delle attività nel cui ambito si
ritiene sia più alta la possibilità che siano commessi i reati;
– la prevenzione del rischio, attraverso l’adozione di principi procedurali dotati di
specificità e volti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni della
Società in relazione ai reati da prevenire;
– la verifica e documentazione delle operazioni a rischio;
– l’individuazione – anche attraverso il richiamo a procedure aziendali adottate dalla
società – di modalità di gestione delle risorse finanziarie che consentano la tracciabilità
di ogni singola operazione;
– il rispetto del principio della separazione delle funzioni;
– la definizione di poteri autorizzativi coerenti con le responsabilità assegnate;
– la verifica dei comportamenti aziendali, nonché del funzionamento del Modello con
conseguente aggiornamento periodico;
– l’adozione di un Sistema Disciplinare specifico ed idoneo a perseguire e sanzionare
l’inosservanza delle misure organizzative adottate;
– l’attribuzione all’Organismo di Vigilanza (OdV) di specifici compiti di vigilanza
sull’efficace e corretto funzionamento del Modello.
§ 4 – Modifiche ed integrazioni del Modello
Essendo il presente Modello un atto di emanazione dell’organo dirigente (in conformità alle
prescrizioni dell’art. 6, co. 1, lett. a) del Decreto), le successive modifiche ed integrazioni di
carattere sostanziale del Modello stesso sono rimesse alla competenza del Consiglio di
gestione di Aster Coop.
Le proposte di modifica ed integrazione del Modello potranno essere presentate
dall’Organismo di Vigilanza al Consiglio di gestione, sentite le competenti funzioni aziendali.
§ 5 – L’Organismo di Vigilanza (OdV) di Aster Coop.
In base alle previsioni del Decreto, l’Ente può essere esonerato dalla responsabilità
conseguente alla commissione di reati da parte dei soggetti apicali o sottoposti alla loro
vigilanza e direzione, se l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato modelli di
organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati considerati e affidato il compito
di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del Modello e di curarne l’aggiornamento ad un
organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo (art.6, comma 1, lett. b).
L’affidamento dei suddetti compiti ad un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e
controllo, unitamente al corretto ed efficace svolgimento degli stessi, rappresenta, quindi,
presupposto indispensabile per l’esonero dalla responsabilità prevista dal Decreto.
Le Linee Guida di Confindustria individuano quali requisiti principali dell’Organismo di
Vigilanza l’autonomia e l’indipendenza, la professionalità e la continuità di azione.
In particolare i requisiti di autonomia ed indipendenza richiedono:
(a) la previsione di un “riporto” dell’Organismo di Vigilanza al massimo vertice aziendale
operativo, ovvero al Consiglio di gestione nel suo complesso;
(b)l’assenza, in capo all’Organismo di Vigilanza, di compiti operativi che, rendendolo
partecipe di decisioni ed attività esecutive, ne minerebbero l’obiettività di giudizio nel
momento delle verifiche sui comportamenti e sul Modello;
(c) l’inserimento dell’Organismo di Vigilanza come unità di staff in una posizione
gerarchica la più elevata possibile.
Il connotato della professionalità deve essere riferito al bagaglio di strumenti e tecniche
necessarie per svolgere efficacemente l’attività di Organismo di Vigilanza.
La continuità di azione, che garantisce una efficace e costante attuazione del Modello
organizzativo, è favorita dalla presenza di una struttura dedicata all’attività di vigilanza.
Tale configurazione garantisce l’autonomia dell’iniziativa di controllo da ogni forma di
interferenza e/o di condizionamento da parte di qualunque componente dell’organizzazione
stessa grazie anche al riporto diretto ad Consiglio di gestione.
Il Decreto non fornisce esplicite indicazioni circa la composizione dell’Organismo di Vigilanza
(OdV).
In assenza di tali indicazioni, Aster Coop ha optato per una soluzione che, tenuto conto delle
finalità perseguite dal Decreto, è parsa in grado di assicurare, in relazione alle proprie
dimensioni e alla propria complessità organizzativa, l’effettività dei controlli cui l’Organismo
di Vigilanza è preposto.
In ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 6, comma 1, lett. b) del d.lgs. 231 del 2001,
secondo cui l’Organismo di Vigilanza è dotato di “autonomi poteri di iniziativa e controllo” e
alla luce delle indicazioni fornite dalle Linee Guida di Confindustria, Aster Coop ha identificato
il proprio OdV mediante delibera del Consiglio di Amministrazione, con riferimento alla
seguente composizione:
Presidente: Consigliere di gestione non dotato di delega o Consulente esterno;
Componente: Consigliere di gestione indipendente o membro del Consiglio di
sorveglianza diverso dal Presidente del Consiglio medesimo o
Collaboratore della Società dotato di diploma di scuola media superiore o
di laurea con indirizzo giuridico, economico o tecnico o Consulente
esterno;
Componente: Collaboratore della Società dotato di diploma di laurea con indirizzo
giuridico, economico o tecnico o Consulente esterno.
Con riguardo alle regole generali di funzionamento dell’Organo, è stato stabilito che l’OdV
rimane in carica sino alla scadenza del mandato del Consiglio di gestione che l’ha nominato, e i
suoi membri sono rieleggibili.
É stata altresì ravvisata la necessità che i membri dell’OdV possiedano, oltre alle competenze
professionali che sono proprie delle figure soggettive più sopra individuate, anche requisiti
soggettivi che garantiscano l’autonomia, l’indipendenza e l’onorabilità richiesta dal compito.
In particolare, non possono essere nominati:
(a) coloro che versino in una delle cause di ineleggibilità o di decadenza previste dall’art.
2382 Codice Civile per gli amministratori;
(b) coloro che siano indagati o imputati per uno dei reati previsto nel decreto;
(c) coloro che siano stati condannati alla reclusione per uno dei delitti previsto nel Decreto
e, comunque, coloro che siano stati condannati alla reclusione per un delitto non
colposo;
(d)il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado dei consiglieri della Società, il
coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado dei consiglieri delle Società da questa
controllate e/o controllanti, partecipate e/o partecipanti;
(e) coloro che siano legati alla Società o alle società da questa controllate e/o partecipate,
alle società controllanti e/o partecipanti da un rapporto che ne comprometta
l’indipendenza.
Nel caso di nomina di un responsabile di una funzione aziendale, valgono i medesimi requisiti,
salvo quello previsto dalla lettera (e).
Qualora venisse a mancare l’OdV o un suo componente, il Consiglio di gestione alla
sostituzione con propria deliberazione.
Al fine di garantire la necessaria stabilità all’OdV, i suoi componenti possono essere revocati,
con delibera del Consiglio di gestione assunta alla unanimità dei voti dei consiglieri presenti,
salvo quello del consigliere che sia anche componente dell’OdV:
(a) per cessazione, accertata dal Consiglio di gestione, dalla funzione o – nel caso di
componente interno – dal rapporto di lavoro con la Società;
(b)per la perdita anche di uno solo dei requisiti sopra individuati;
(c) per comprovati motivi di incompatibilità che ne vanifichino indipendenza e autonomia.
Il Consiglio di gestione nella riunione nella quale delibera la revoca di un membro dell’ OdV
provvede alla sua sostituzione.
All’ OdV è affidato, sul piano generale, il compito di vigilare sull’effettività del Modello
(coerenza tra i comportamenti concreti e Modello) e di verificare in concreto l’adeguatezza
del Modello (reale capacità di prevenire, in linea di massima, i comportamenti non voluti),
proponendo – se del caso – al Consiglio di gestione eventuali aggiornamenti ed integrazioni.
E’ altresì affidato all’ OdV il compito di elaborare un programma di verifiche periodiche
sull’effettiva applicazione delle procedure aziendali di controllo nelle Attività sensibili, nonché
di raccogliere, elaborare e conservare le informazioni rilevanti in ordine al rispetto del
Modello, nonché, ove necessario, aggiornare la lista di informazioni che devono essere allo
stesso OdV obbligatoriamente trasmesse o tenute a sua disposizione.
Spetta all’ OdV di effettuare un costante monitoraggio delle Attività sensibili.
A tal fine, l’OdV viene tenuto costantemente informato sull’evoluzione delle attività nelle
suddette aree a rischio, ed ha libero accesso a tutta la documentazione aziendale; all’OdV
devono essere inoltre segnalate da parte di tutto il personale, eventuali situazioni dell’attività
aziendale che possano esporre l’azienda al rischio di reato, in modo che questo possa
condurre le opportune indagini interne per l’accertamento di presunte violazioni delle
prescrizioni del Modello.
Spetta altresì all’OdV di verificare che gli elementi previsti dal Modello per le diverse tipologie
di reati siano comunque adeguati e rispondenti alle esigenze di osservanza di quanto
prescritto dal Decreto, provvedendo, in caso contrario, a richiedere un aggiornamento degli
elementi stessi, nonché di promuovere idonee iniziative per la diffusione della conoscenza e
della comprensione del Modello stesso presso tutto il personale, anche mediante la
predisposizione di idonea documentazione contenente istruzioni, chiarimenti o
aggiornamenti.
Sono garantiti all’OdV:
(a) il libero accesso presso tutte le funzioni della Società, senza preventiva informativa e
senza necessità di alcun consenso preventivo, al fine di ottenere ogni informazione o
dato ritenuto necessario per lo svolgimento dei compiti previsti dal Decreto;
(b)la collaborazione di tutte le funzioni e strutture della Società ovvero di consulenti
esterni, avvalendosi delle rispettive competenze e professionalità;
(c) la disponibilità di un budget definito dal Consiglio di gestione nell’ambito dell’annuale
processo di budgeting idoneo a supportare le decisioni di spesa necessarie per
assolvere alle proprie funzioni (consulenze specialistiche, missioni e trasferte,
aggiornamento, ecc.);
(d)la insindacabilità del proprio operato da parte di qualsiasi altro organismo o struttura
aziendale, eccettuato il solo Consiglio di gestione.
§ 6 – Organismo di vigilanza e flussi informativi inbound e outbound.
L’Organismo di Vigilanza deve essere tempestivamente informato, mediante apposito sistema
di comunicazione interna, in merito a quegli atti, comportamenti od eventi che possono
determinare una violazione del Modello o che, più in generale, sono rilevanti ai fini del
Decreto.
Gli obblighi di informazione su eventuali comportamenti contrari alle disposizioni contenute
nel Modello rientrano nel più ampio dovere di diligenza ed obbligo di fedeltà del prestatore di
lavoro stabiliti dal Codice civile.
Coloro che segnalano le suddette circostanze in buona fede sono garantiti contro qualsiasi
forma di ritorsione, discriminazione o penalizzazione ed in ogni caso è assicurata la
riservatezza dell’identità del segnalante, fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti
della Società o delle persone accusate erroneamente e/o in mala fede.
Il corretto adempimento dell’obbligo di informazione da parte del prestatore di lavoro non
può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
Al fine di raccogliere in modo efficace le segnalazioni sopra descritte, è stato previsto un
apposito Regolamento.
L’OdV valuta discrezionalmente e sotto la sua responsabilità le segnalazioni ricevute e i casi in
cui è necessario attivarsi.
Valgono al riguardo le seguenti prescrizioni di carattere generale:
(a) debbono essere indirizzate all’OdV le eventuali segnalazioni relative alla commissione,
o al ragionevole pericolo di commissione, dei reati previsti nel Decreto o comunque a
comportamenti in generale non in linea con le regole di comportamento adottate in
attuazione dei principi di riferimento contenuti nel presente documento;
(b)debbono essere inoltrate all’OdV le richieste di assistenza legale provenienti dai
dirigenti e/o dai dipendenti nei confronti dei quali la Magistratura procede per i reati
previsti dalla richiamata normativa;
(c) debbono essere altresì inoltrati all’OdV tutti i provvedimenti e/o notizie provenienti da
organi di polizia giudiziaria, o da qualsiasi altra autorità, dai quali si evinca lo
svolgimento di indagini, anche nei confronti di ignoti, per i reati di cui al Decreto;
(d)debbono essere comunicate all’OdV le notizie relative alla effettiva attuazione, a tutti i
livelli aziendali, del Modello, con evidenza dei procedimenti disciplinari svolti e delle
eventuali sanzioni irrogate ovvero dei provvedimenti di archiviazione di tali
procedimenti con le relative motivazioni;
(e) debbono in ogni caso essere comunicate all’OdV le notizie relative a commesse
attribuite da enti pubblici o soggetti che svolgano funzioni di pubblica utilità.
Quanto alla modalità delle segnalazioni, si osserveranno le seguenti regole:
– se un esponente aziendale desidera effettuare una segnalazione tra quelle sopra
indicate, deve riferire al suo diretto superiore, il quale canalizzerà poi la segnalazione
all’OdV. Qualora la segnalazione non dia esito, o l’esponente aziendale si senta a disagio
nel rivolgersi al suo diretto superiore per la presentazione della segnalazione, può
riferire direttamente all’OdV.;
– l’OdV non è tenuto a prendere in considerazione le segnalazioni che appaiano prima
facie irrilevanti, destituite di fondamento o non circostanziate;
Le segnalazioni potranno essere effettuate tramite e-mail all’indirizzo di posta elettronica
odv@astercoop.it oppure tramite posta all’indirizzo Organismo di Vigilanza Modello 231 c/o
Aster Coop Soc. Coop, Via Oderzo n. 1, 33100 Udine.
Oltre al predetto canale, ai sensi dell’art. 6 del Decreto è stato introdotto un ulteriore canale
di segnalazione idoneo a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante attraverso la
compilazione di apposita maschera presente nel sito aziendale.
Le violazioni dei suddetti obblighi di informazione nei confronti dell’OdV potranno
comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo quanto previsto dal Sistema
Disciplinare e/o dal Codice Etico.
Parimenti, l’attivazione di procedimenti disciplinari riguarderà anche coloro che:
– violino le misure prescritte a tutela della riservatezza dell’identità di un soggetto segnalante;
– con dolo o colpa grave, effettuino segnalazioni che si rivelino infondate.
L’OdV riferisce in merito all’attuazione del Modello e all’emersione di eventuali criticità. Sono
previste due linee di reporting:
(a) la prima, su base continuativa, direttamente verso il Presidente del Consiglio di
gestione circa gli esiti di ciascuna verifica eseguita;
(b)la seconda, almeno semestrale, nei confronti del Consiglio di gestione.
Quanto a tale seconda linea di reporting, l’OdV predispone:
(a) con cadenza semestrale, un rapporto scritto relativo all’attività svolta (indicando in
particolare i controlli e le verifiche specifiche effettuati e l’esito degli stessi, l’eventuale
aggiornamento della mappatura delle Attività sensibili, ecc.);
(b) con cadenza annuale, un rapporto sullo stato dei suoi rapporti con il Consiglio di
sorveglianza nonché un piano delle attività previste per l’anno successivo;
(c) immediatamente, anche individualmente, una segnalazione relativa all’avveramento di
situazioni straordinarie quali ipotesi di violazione dei principi di attuazione del
Modello, di innovazioni legislative in materia di responsabilità amministrativa degli
Enti.
L’OdV deve, inoltre, coordinarsi con le funzioni competenti presenti in Società per i diversi
profili specifici.
Gli incontri con le funzioni cui l’Organismo di Vigilanza fa riferimento devono essere
verbalizzati.
Le copie dei verbali devono essere custoditi dall’OdV e dagli organismi di volta in volta
coinvolti.
Il Consiglio di gestione ha la facoltà di convocare l’OdV il quale, a sua volta, ha la facoltà di
richiedere al Presidente del Consiglio di gestione e/o del Consiglio di Sorveglianza, di
convocare i predetti organi per motivi urgenti.
Alle riunioni del Consiglio di gestione e del Consiglio di sorveglianza convocate per l’esame
delle relazioni periodiche o straordinarie dell’OdV e in genere per le attività che riguardano il
Modello, dovranno essere convocati anche i membri dell’OdV.
Le informazioni, segnalazioni, report o relazioni previsti nel Modello sono conservati dall’OdV
in un apposito archivio (informatico o cartaceo).
§ 7 – Formazione e comunicazione.
Aster Coop, al fine di dare efficace attuazione al Modello, intende assicurare una corretta
divulgazione dei contenuti e dei principi dello stesso all’interno ed all’esterno della propria
organizzazione.
In particolare, obiettivo di Aster Coop è estendere la comunicazione dei contenuti e dei
principi del Modello non solo ai propri soci lavoratori ma anche ai soggetti che, pur non
rivestendo tale qualifica formale, operano per il conseguimento degli obiettivi di Aster Coop in
forza di rapporti contrattuali.
L’attività di comunicazione e formazione sarà diversificata a seconda dei destinatari cui essa
si rivolge, ma dovrà essere, in ogni caso, improntata a principi di completezza, chiarezza,
accessibilità e continuità al fine di consentire ai diversi destinatari la piena consapevolezza di
quelle disposizioni aziendali che sono tenuti a rispettare e delle norme etiche che devono
ispirare i loro comportamenti.
L’attività di comunicazione e formazione è sotto la supervisione dell’OdV, cui è assegnato il
compito di promuovere e definire le iniziative per la diffusione della conoscenza e della
comprensione del Modello, nonché per la formazione del personale e la sensibilizzazione dello
stesso all’osservanza dei principi contenuti nel Modello e di promuovere e elaborare
interventi di comunicazione e formazione sui contenuti del decreto e sugli impatti della
normativa sull’attività dell’azienda e sulle norme comportamentali.
Ogni Socio Lavoratore è tenuto a:
(a) acquisire consapevolezza dei principi e contenuti del Modello;
(b) conoscere le modalità operative con le quali deve essere realizzata la propria attività;
(c) contribuire attivamente, in relazione al proprio ruolo e alle proprie responsabilità,
all’efficace attuazione del Modello, segnalando eventuali carenze riscontrate nello
stesso;
(d)partecipare ai corsi di formazione, differenziati in considerazione delle diverse Attività
sensibili.
Al fine di garantire un’efficace e razionale attività di comunicazione, la Società promuove ed
agevolare la conoscenza dei contenuti e dei principi del Modello da parte dei Soci Lavoratori,
con grado di approfondimento diversificato a seconda della posizione e del ruolo dagli stessi
ricoperto.
Ad ogni Lavoratore subordinato di categoria dirigenziale o dotato di funzioni direttive, ad
ogni componente degli Organi sociali, ad ogni soggetto dotato di funzioni di rappresentanza
della Società, sarà consegnata copia digitale della versione integrale del Modello al momento
dell’accettazione della carica, e sarà fatta sottoscrivere dichiarazione di ricevuta e di
osservanza del Modello stesso.
Idonei strumenti di comunicazione saranno adottati per aggiornare i destinatari circa le
eventuali modifiche apportate al Modello, nonché ogni rilevante cambiamento procedurale,
normativo o organizzativo.
L’attività di comunicazione dei contenuti e dei principi del Modello dovrà essere indirizzata
altresì a soggetti terzi che intrattengano con Aster Coop rapporti di collaborazione
contrattualmente regolati o che rappresentano la Società senza vincoli di dipendenza.
§ 8 – Disposizioni conclusive.
Tutti gli Esponenti aziendali i quali abbiano funzioni di vigilanza nei confronti di altri
esponenti aziendali hanno l’obbligo di esercitarla con la massima diligenza, segnalando
all’OdV, secondo le modalità indicate nel paragrafo precedente, eventuali irregolarità,
violazioni ed inadempimenti.
In caso di mancato rispetto dei suddetti obblighi, gli esponenti aziendali con funzioni di
vigilanza saranno sanzionati in conformità alla loro posizione all’interno della Società secondo
quanto previsto dal Sistema Disciplinare.
L’OdV deve stilare con cadenza annuale un programma di vigilanza attraverso il quale
pianifica, in linea di massima, le proprie attività prevedendo:
(a) un calendario delle attività da svolgere nel corso dell’anno;
(b)la determinazione delle cadenze temporali dei controlli;
(c) l’individuazione dei criteri e delle procedure di analisi;
(d)la possibilità di effettuare verifiche e controlli non programmati.
Nello svolgimento della propria attività, l’OdV può avvalersi sia del supporto di funzioni e
strutture interne alla Società con specifiche competenze nei settori aziendali di volta in volta
sottoposti a controllo sia, con riferimento all’esecuzione delle operazioni tecniche necessarie
per lo svolgimento della funzione di controllo, di consulenti esterni.
In tal caso, i consulenti dovranno sempre riferire i risultati del loro operato all’OdV.
All’OdV sono riconosciuti, nel corso delle verifiche ed ispezioni, i più ampi poteri al fine di
svolgere efficacemente i compiti affidatigli.
Il Consiglio di gestione delibera in merito all’aggiornamento del Modello e del suo
adeguamento in relazione a modifiche e/o integrazioni che si dovessero rendere necessarie in
conseguenza di:
(a) violazioni delle prescrizioni del Modello;
(b)modificazioni dell’assetto interno della Società e/o delle modalità di svolgimento delle
attività d’impresa;
(c) modifiche normative;
(d) risultanze dei controlli.
Una volta approvate, le modifiche e le istruzioni per la loro immediata applicazione sono
comunicate all’OdV, il quale, a sua volta, provvederà, senza indugio, a rendere le stesse
modifiche operative e a curare la corretta comunicazione dei contenuti all’interno e
all’esterno della Società.
L’OdV provvederà, altresì, mediante apposita relazione, ad informare il Consiglio di gestione
circa l’esito dell’attività intrapresa in ottemperanza alla delibera che dispone l’aggiornamento
e/o adeguamento del Modello.
L’OdV conserva, in ogni caso, precisi compiti e poteri in merito alla cura, sviluppo e
promozione del costante aggiornamento del Modello. A tal fine, formula osservazioni e
proposte, attinenti l’organizzazione ed il sistema di controllo, alle strutture aziendali a ciò
preposte o, in casi di particolare rilevanza, al Consiglio di gestione.
In particolare, al fine di garantire che le variazioni del Modello siano operate con la necessaria
tempestività ed efficacia, senza al contempo incorrere in difetti di coordinamento tra i
processi operativi, le prescrizioni contenute nel Modello e la diffusione delle stesse, il
Consiglio di gestione ha ritenuto di delegare all’Organismo di Vigilanza il compito di apportare
con cadenza periodica, ove risulti necessario, le modifiche al Modello che attengano ad aspetti
di carattere descrittivo.
Si precisa che con l’espressione “aspetti descrittivi” si fa riferimento ad elementi ed
informazioni che derivano da atti deliberati dal Consiglio di gestione (come, ad esempio la
ridefinizione dell’organigramma) o da funzioni aziendali munite di specifica delega (es. nuove
procedure aziendali).
In occasione della presentazione della relazione riepilogativa annuale, l’OdV presenta al
Consiglio di gestione un’apposita nota informativa delle variazioni apportate in attuazione
della delega ricevuta al fine di farne oggetto di delibera di ratifica da parte del Consiglio di
gestione.
Rimane, in ogni caso, di esclusiva competenza del Consiglio di gestione la delibera di
aggiornamenti e/o di adeguamenti del Modello dovuti ai seguenti fattori:
(a) intervento di modifiche normative in tema di responsabilità amministrativa degli enti;
(b)identificazione di nuove attività sensibili, o variazione di quelle precedentemente
identificate, anche eventualmente connesse all’avvio di nuove attività d’impresa;
(c) commissione di uno dei Reati da parte dei destinatari delle previsioni del Modello o,
più in generale, di significative violazioni del Modello;
(d) riscontro di carenze e/o lacune nelle previsioni del Modello a seguito di verifiche
sull’efficacia del medesimo.
Il Modello sarà, in ogni caso, sottoposto a procedimento di revisione periodica con cadenza
triennale da disporsi mediante delibera del Consiglio di gestione.
In ragione della complessità del Modello e della sua profonda compenetrazione con la
struttura della Società, sarà necessario che la sua introduzione nel sistema aziendale comporti
lo sviluppo di un programma operativo di recepimento delle innovazioni.
Tale programma individuerà le attività richieste al fine di realizzare l’efficace attuazione dei
principi di riferimento per la costruzione del Modello contenuti nel presente documento con
precisazione di responsabilità, tempi e modalità di esecuzione.

CAPITOLO III
I REATI PRESUPPOSTO EX D.LGS. 231/01

Nel presente capitolo vengono esposti alcuni principi di carattere generale in ordine
all’individuazione delle fattispecie di reato rilevanti ai fini della configurabilità di una
responsabilità della Società ai sensi del Decreto 231.
Il presente capitolo, inoltre, contiene il catalogo dei reati presupposto alla data di
approvazione del Modello.
§ 1 – Soggetti a cui la disciplina risulta applicabile.
L’articolo 1 del D.Lgs. 231 del 2001 stabilisce espressamente che “le disposizioni in esso
previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche
prive di personalità giuridica”.
Orbene, i principali soggetti destinatari di tale normativa sono:
1) tra gli enti forniti di personalità giuridica:
a) società di capitali;
b) società cooperative;
c) fondazioni;
d) associazioni riconosciute;
e) enti privati e pubblici economici;
f) enti privati che esercitano un servizio pubblico in virtù di una concessione;
convenzione o analogo atto amministrativo;
2) tra gli enti privi di personalità giuridica:
a) società di persone;
b) Geie (Gruppi europei di interesse economico);
c) consorzi;
d) associazioni non riconosciute.
Sempre ai sensi dell’articolo 1, le disposizioni del Decreto, “non si applicano allo Stato, agli enti
pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni
di rilievo costituzionale” (a titolo esemplificativo, quindi, tra gli esclusi vi sono: le due Camere
del Parlamento; le Regioni; le Province; i Comuni; la Corte Costituzionale; il Consiglio
Nazionale dell’economia e del lavoro; il Consiglio Superiore della Magistratura; i partiti
politici; i sindacati dei lavoratori).
In merito all’inapplicabilità del D.Lgs. 231/2001 ai partiti politici e ai sindacati dei lavoratori,
la giustificazione di tale esclusione si evince dalla stessa relazione governativa al Decreto in
quanto nei confronti di questi soggetti l’eventuale applicazione di una sanzione di tipo
interdittivo finirebbe per arrecare un danno soprattutto ai cittadini.
§ 2 – Luogo di commissione del reato.
In linea generale la responsabilità dell’ente prescinde dal luogo di realizzazione del reato.
L’obiettivo è perseguire l’ente, in caso di commissione di un determinato reato previsto dal D.
lgs. 231/2001, indipendentemente dal territorio dello Stato dove l’ente stesso abbia la sede
principale.
In caso di reato commesso all’estero, infatti:
a) se l’Ordinamento del Paese in cui è stato commesso il reato prevede una
disciplina analoga alla nostra disciplina ex 231/2001 si applicherà la disciplina
straniera;
b) diversamente, si applicherà quella italiana qualora ricorrano i requisiti previsti
all’art. 4 D.Lgs. 231/2001.
L’art. 4 del decreto in esame stabilisce espressamente che:
“Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel
territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi
all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il
fatto.
Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia,
si procede contro l’ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest’ultimo”.
La disciplina del reato commesso all’estero, inoltre, è regolata anche dalle previsioni di cui agli
articoli 7, 8, 9, 10 del codice penale.
§ 3 – I reati rilevanti ai fini della responsabilità ex D.Lgs. 231/01.
La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche sussiste, come si è detto,
esclusivamente, per tipologie di reato indicate tassativamente dalla legge. Tali reati sono
suddivisibili in due macro-categorie:
– reati previsti dal Decreto;
– reati rinvenibili in norme diverse dal Decreto ma che fanno riferimento alla responsabilità
amministrativa dell’ente.
§ 3.1 – Reati previsti dal D.Lgs. 231/01
Reati contro la Pubblica Amministrazione (artt. 24 e 25; modificati dalla l. 9 gennaio
2019 n. 3 e dal D.Lgs. 14 luglio 2020 n. 75)):
– malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.);
– indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.);
– frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.);
– truffa aggravata per essere stata commessa ai danni dello Stato ovvero col pretesto di
far esonerare taluno dal servizio militare (art. 640, comma 2 n. 1, c.p.);
– truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.);
– frode informatica se commessa in danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 640-
ter c.p.);
– frode ai danni del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia e del Fondo Europeo Agricolo
per lo Sviluppo Rurale (art. 2 l. 23.12.1986 n. 898).
– concussione (art. 317 c.p.) [modificato dalla L.n.69/2015];
– corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) [modificato dalla L.n.69/2015];
– corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p., modificato dalla
L.n.69/2015 – art. 319-bis c.p. – art. 321 c.p.);
– corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p. comma [modificato dalla L.n.69/2015] –
art. 321 c.p.);
– induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.) [articolo aggiunto
dalla L. n. 190/2012 e modificato dalla L.n.69/2015];
– corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.);
– istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.);
– peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi
delle Comunità Europee e di funzionari delle Comunità Europee e di Stati esteri (art.
322- bis c.p.) [articolo modificato dalla L.n.190/2012];
– traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.);
– peculato (art. 314 c. 1 c.p., con esclusione della fattispecie di uso momentaneo del bene
di cui al comma 2), peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316 c.p.) e abuso
d’ufficio (art. 323 c.p.) quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione
Europea
Delitti Informatici e Trattamento Illecito dei Dati (art. 24-bis, introdotti con la Legge
18 Marzo 2008 n. 48, modificato con L. 18.11.2019 n. 133):
– accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615-ter c.p.);
– detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici
(art. 615-quater c.p.);
– diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a
danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico (art. 615-quinquies
c.p.);
– intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o
telematiche (art. 617-quater c.p.);
– installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere
comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quinquies c.p.);
– danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici (art. 635-bis c.p.);
– danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o
da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità (art. 635-ter c.p.);
– danneggiamento di sistemi informatici o telematici (art. 635-quater c.p.);
– danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità (art. 635-
quinquies c.p.);
– falsità in un documento informatico pubblico o privato avente efficacia probatoria (art.
491-bis c.p.);
– frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica
(art. 640-quinquies c.p.);
– ostacolo e/o false informazioni in relazione al perimetro di sicurezza cibernetica (art.
1, c 11, D.L. 21.09.2019, n. 105)
Delitti di Criminalità Organizzata (art. 24-ter, introdotti con la Legge n. 94/2009):
– associazione per delinquere (art. 416 c.p.);
– associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) [modificato dalla L.n.69/2015- inasprite
solo le sanzioni];
– scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.);
– sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.);
– associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74
D.P.R. 309/90);
– delitti concernenti la fabbricazione ed il traffico di armi da guerra, esplosivi ed armi
clandestine di cui all’art. 407 comma 2, lettera a), n. 5 del c.p.p).
Reati di Falsità in Monete, in Carte di Pubblico Credito, in Valori di Bollo e in
strumenti o segni di riconoscimento (art. 25-bis, introdotti con la Legge n. 350/2001
e integrati con Legge n. 99/2009):
– falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di
monete falsificate (art. 453 c.p.);
– alterazione di monete (art. 454 c.p.);
– spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate (art. 455 c.
p.);
– spendita di monete falsificate ricevute in buona fede (art. 457 c. p.);
– falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa
in circolazione di valori di bollo falsificati (art. 459 c.p.);
– contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico
credito o di valori di bollo (art. 460 c.p.);
– fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di
monete, di valori di bollo o di carta filigranata (art. 461 c.p.);
– uso di valori di bollo contraffatti o alterati (art. 464 c.p.);
– contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli
e disegni (art. 473 c.p.);
– introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.).
Delitti Contro l’Industria e il Commercio (art. 25-bis.1, introdotti Legge 99/2009):
– turbata libertà dell’industria o del commercio (art. 513 c.p.);
– illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513-bis c.p.);
– frodi contro le industrie nazionali (art. 514 c.p.) ;
– frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.);
– vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.);
– vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.);
– fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
(art. 517-ter c.p.);
– contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti
agroalimentari (art. 517-quater c.p.).
Reati Societari (art. 25-ter, introdotti con il D.Lgs n. 61/2002, modificato dalla
L.n.190/2012 e aggiornato dalla L.n.69/2015):
– false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) [modificato dalla L.n.69/2015];
– fatti di lieve entità (art.2621 bis c.c.) [aggiunto dalla L.n.69/2015];
– false comunicazioni sociali delle società quotate (art. 2622 c.c.) [modificato dalla
L.n.69/2015];
– falso in prospetto (art. 2623 c.c.) – abrogato;
– falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione (art. 2624, commi
1 e 2 c.c.)1;
– impedito controllo (art. 2625 c.c.);
– indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.);
– illegale ripartizione di utili e riserve (art. 2627 c.c.);
– illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art. 2628
c.c.);
– operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.);
– omessa comunicazione del conflitto di interessi (art. 2629-bis c.c.)
– formazione fittizia del capitale sociale (art. 2632 c.c.);
– indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.);
– corruzione tra privati (art. 2635 c.c.)[modificato dal D. Lgs 38 del 15/03/2017]
– istigazione alla corruzione fra privati (art. 2635-bis c.c.) [inserito dal D. Lgs 38 del
15/03/2017]
– illecita influenza sull’assemblea (art. 2636 c.c.);
– aggiotaggio (art. 2637 c.c.);
– ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.).
Reati con Finalità di Terrorismo o di Eversione dell’Ordine Democratico previsti dal
codice penale e dalle leggi speciali e delitti posti in essere in violazione di quanto
previsto dall’articolo 2 della convenzione internazionale per la repressione del
finanziamento del terrorismo sottoscritta a New York in data 9.12.1999 (art. 25-
quater, introdotti con la Legge n. 7/2003)
– Associazioni sovversive (art. 270 c.p.)
– Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine
democratico (art. 270 bis c.p.)
– Assistenza agli associati (art. 270 ter c.p.)
– Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270 quater c.p.)
– Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270
quinquies c.p.)
– Condotte con finalità di terrorismo (art. 270 sexies c.p.)
1
Il D.Lgs. n.39/2010 sulla revisione legale dei conti ha abrogato l’art. 2624 del C.C. ma, nel contempo,
ha introdotto, nell’art. 27, il reato di “Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della
revisione legale dei conti” per cui, nell’incertezza del quadro normativo di riferimento, il reato in parola
viene prudenzialmente indicato quale presupposto della responsabilità amministrativa degli enti”.
– Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.)
– Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280 bis c.p.)
– Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289 bis c.p.)
– Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai Capi primo e secondo (art.
302 c.p.)
– Cospirazione politica mediante accordo (art. 304 c.p.)
– Cospirazione politica mediante associazione (art. 305 c.p.)
– Banda armata: formazione e partecipazione (art. 306 c.p.)
– Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata (art. 307 c.p.)
– Impossessamento, dirottamento e distruzione di un aereo (L. n. 342/1976, art. 1)
– Danneggiamento delle installazioni a terra (L. n. 342/1976, art. 2)
– Sanzioni (L. n. 422/1989, art. 3)
– Pentimento operoso (D.Lgs. n. 625/1979, art. 5)
– Convenzione di New York del 9 dicembre 1999 (art. 2)
Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25-quater.1, introdotti
con la Legge n. 7/2006)
– Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis c.p.)
Delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies, introdotti con la Legge n.
228/2003):
– riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.);
– prostituzione minorile (art. 600-bis commi 1 e 2 c.p.);
– pornografia minorile (art. 600-ter c.p.);
– detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater c.p.);
– pornografia virtuale (art. 600-quater.1 c.p.);
– iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-
quinquies c.p.);
– tratta e commercio di schiavi (art. 601 c.p.);
– alienazione e acquisto di schiavi (art. 602 c.p.);
– intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.)
– adescamento dei minorenni (art.609-undecies c.p.).
Reati di abuso di mercato (art. 25-sexies, introdotti con la Legge Comunitaria 2004
n. 62/2005):
– Aggiotaggio (art. 2637 c.c.);
– abuso di informazioni privilegiate (art. 184 D.Lgs. 58/1998);
– manipolazione del mercato (art. 185 D.Lgs. 58/1998);
L’art. 187-quinquies del D.Lgs. 58/1998, come modificato dalla legge n. 62 del 2005,
dispone la responsabilità amministrativa degli Enti per gli illeciti amministrativi relativi
agli abusi di mercato.
Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con
violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul
lavoro (Art. 25 –septies D.lgs 231/01)
– omicidio colposo (art 589 c.p.);
– lesioni personali colpose (art. 590 c.p.).
Reati di Ricettazione, Riciclaggio, Impiego di Denaro, Beni o Utilità di Provenienza
Illecita nonché autoriciclaggio (art. 25-octies, introdotti con il D.Lgs. 231 21
Novembre 2007 e modificati dalla L.n.186/2014):
– ricettazione (art. 648 c.p.);
– riciclaggio (art. 648-bis c.p.);
– impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.)
– autoriciclaggio (art.648-ter.1 c.p.).
Il Decreto Legislativo 231 del 16 novembre 2007 espressamente abroga, all’art. 64, comma
I, lett. f), i commi 5 e 6 dell’articolo 10 della legge 16 marzo 2006, n. 146, recante ratifica
ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine
organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 e il 31
maggio 2001, che includeva tra i reati rilevanti ai sensi del Decreto 231 i reati di
ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita
unicamente in presenza di reati “transazionali”.
Reati in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 25-octies1,
introdotto con il D.Lgs. 8 Novembre 2021 n. 184):
– Indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art.
493 ter c.p.);
– Detenzione e diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti
a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493
quater c.p.);
– Frode informatica (art. 640 ter c.p.) nell’ipotesi aggravata dalla realizzazione di un
trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale
– autoriciclaggio (art.648-ter.1 c.p.).
L’articolo in commento prevede, al secondo comma, una fattispecie di carattere residuale
relativa “alla commissione di ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o
che comunque offende il patrimonio previsto dal codice penale, quando ha ad oggetto
strumenti di pagamento diversi dai contanti” prevedendo pene differenziate a seconda
della entità della pena detentiva prevista per il delitto commesso.
Delitti in materia di Violazione del Diritto d’Autore (art. 25-nonies, introdotti con la
Legge n. 99/2009).
Trattasi delle fattispecie contemplate dagli articoli 171, 171-bis, 171-ter, 171-septies e
171-octies (oltre alla previsione di cui all’art. 174-quinquies) della L. 22.04.1941 n. 633,
ossia:
− messa a disposizione del pubblico in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di
qualsiasi genere, e senza averne diritto di un’opera o di parte di un’opera dell’ingegno protetta
(art. 171, co. 1, lett. a-bis L. 633/41);
− reato di cui al punto precedente commesso su un’opera altrui non destinata alla pubblicità,
ovvero con usurpazione della paternità dell’opera, ovvero con deformazione, mutilazione o
altra modificazione dell’opera stessa, qualora ne risulti offeso l’onore o la reputazione
dell’autore (art 171, co. 3, L. 633/1941);
− abusiva duplicazione, per trarne profitto, di programmi per elaboratore; importazione,
distribuzione, vendita, detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale ovvero concessione
in locazione di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE;
predisposizione di mezzi per consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l’elusione
funzionale di dispositivi di protezione di programmi per elaboratori (art. 171-bis, co. 1, L.
633/1941);
− riproduzione su supporti non contrassegnati SIAE, trasferimento su altro supporto,
distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico, del contenuto di una
banca dati al fine di trarne profitto; estrazione o reimpiego della banca dati in violazione delle
disposizioni sui diritti del costitutore e dell’utente di una banca dati; distribuzione, vendita o
concessione in locazione di banche di dati (art. 171-bis, co. 2, L. 633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da abusiva duplicazione,
riproduzione, trasmissione o diffusione in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in
parte, di opere dell’ingegno destinate al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del
noleggio, di dischi, nastri o supporti analoghi ovvero di ogni altro supporto contenente
fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o
sequenze di immagini in movimento (art. 171-ter, comma 1, lett. a, L. 633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da abusiva riproduzione,
trasmissione o diffusione in pubblico con qualsiasi procedimento, di opere o parti di opere
letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico – musicali,
multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati (art. 171-ter,
comma 1, lett. b, L. 633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da introduzione nel
territorio dello Stato, detenzione per la vendita o la distribuzione, distribuzione, messa in
commercio, concessione in noleggio o cessione a qualsiasi titolo, proiezione in pubblico,
trasmissione a mezzo televisione con qualsiasi procedimento, trasmissione a mezzo radio,
delle duplicazioni o riproduzioni abusive di cui alle lettere a) e) senza aver concorso nella
duplicazione o riproduzione (art. 171-ter, comma 1, lett. c, L. 633/1941).
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da detenzione per la
vendita o la distribuzione, messa in commercio, vendita, noleggio, cessione a qualsiasi titolo,
proiezione in pubblico, trasmissione a mezzo radio o televisione con qualsiasi procedimento,
di videocassette, musicassette, qualsiasi supporto contenente fonogrammi o videogrammi di
opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, o altro
supporto per il quale è prescritta l’apposizione del contrassegno SIAE, privi del contrassegno
medesimo o dotati di contrassegno contraffatto o alterato (art. 171-ter, comma 1, lett. d, L.
633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da ritrasmissione o
diffusione con qualsiasi mezzo di un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di
apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato, in assenza di accordo
con il legittimo distributore (art. 171-ter, comma 1, lett. e, L. 633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da introduzione nel
territorio dello Stato, detenzione per la vendita ola distribuzione, distribuzione, vendita,
concessione in noleggio, cessione a qualsiasi titolo, promozione commerciale, installazione di
dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l’accesso a un servizio
criptato senza il pagamento del canone dovuto (art. 171-ter, comma 1, lett. f, L.
633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da fabbricazione,
importazione, distribuzione, vendita, noleggio, cessione a qualsiasi titolo, pubblicizzazione per
la vendita o il noleggio, o detenzione per scopi commerciali, di attrezzature, prodotti o
componenti ovvero prestazione di servizi aventi impiego commerciale o prevalente finalità
di eludere efficaci misure tecnologiche di protezione ovvero progettati, prodotti, adattati
o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di tali misure (art. 171-ter,
comma 1, lett. f-bis, L. 633/1941);
− reati commessi a fini di lucro, per uso non personale, e caratterizzati da abusiva rimozione o
alterazione di informazioni elettroniche sul regime dei diritti di cui all’articolo 102-quinquies,
ovvero distribuzione, importazione a fini di distribuzione, diffusione per radio o per
televisione, comunicazione o messa a disposizione del pubblico di opere o altri materiali
protetti dai quali siano state rimosse o alterate le informazioni elettroniche stesse (art. 171-
ter, comma 1, lett. h, L. 633/1941);
− riproduzione, duplicazione, trasmissione o diffusione abusiva, vendita o commercio, cessione a
qualsiasi titolo o importazione abusiva di oltre 50 copie o esemplari di opere tutelate dal
diritto d’autore e da diritti connessi (art. 171- ter, comma 2, lett. a, L. 633/1941);
− immissione a fini di lucro in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi
genere, di un’opera o parte di un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, in violazione
del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico spettante all’autore (art. 171-ter, comma 2,
lett. a-bis, L. 633/1941);
− realizzazione delle condotte previste dall’art. 171-ter, co. 1, L. 633/1941, da parte di chiunque
eserciti in forma imprenditoriale attività di riproduzione, distribuzione, vendita o
commercializzazione, ovvero importazione di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti
connessi (art. 171-ter, comma 2, lett. b, L. 633/1941);
− promozione od organizzazione delle attività illecite di cui all’art. 171-ter, co. 1, L. 633/1941
(art. 171-ter, comma 2, lett. c, L. 633/1941);
− mancata comunicazione alla SIAE dei dati di identificazione dei supporti non soggetti al
contrassegno, da parte di produttori o importatori di tali supporti, ovvero falsa dichiarazione
circa l’assolvimento degli obblighi sul contrassegno (art. 171-septies, L. 633/1941);
− fraudolenta produzione, vendita, importazione, promozione, installazione, modifica, utilizzo
per uso pubblico e privato di apparati o parti d apparati atti alla decodificazione di
trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in
forma sia analogica sia digitale (art. 171- octies, L. 633/1941).
Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci
all’autorità giudiziaria (art. 25-decies, introdotto con la Legge n. 116/2009):
– induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità
giudiziaria (art. 377-bis c.p.).
Reati Ambientali (art.25-undecies, D.Lgs. n.231/2001) (articolo aggiunto dal D.Lgs.
n. 121/ 2011 e modificato dalla L.68/2015)
− inquinamento ambientale (art.452-bis c.p.) [introdotto dalla L.n.68/2015];
− disastro ambientale (art.452-quater c.p.) [introdotto dalla L.n.68/2015];
− delitti colposi contro l’ambiente (art.452-quinquies c.p.) [introdotto dalla
L.n.68/2015];
− traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.) [introdotto
dalla L.n.68/2015];
− circostanze aggravanti (art.452-octies c.p.) [introdotto dalla L.n.68/2015];
− uccisione distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o
vegetali selvatiche protette (art. 727-bis c.p.);
− distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (art. 733-bis. –
c.p.);
− scarichi non autorizzati (art. 137 D.Lgs. 152/06)
− attività di gestione di rifiuti non autorizzata (artt. 256 D.lgs. 152/06);
− bonifica dei siti – inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle
acque sotterranee) (art. 257 D.lgs n.152/2006) [modificato dalla L.n.68/2015];
− violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei
formulari (art. 258 D.lgs. 152/06);
− traffico illecito di rifiuti (art. 259 D.lgs. 152/06);
− attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (Art. 260 D.lgs. 152/06) [modificato
dalla L.n. 68/2015];
− sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Art.260-bis D.lgs.
152/06);
− violazione dei valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione
(art. 279, c. 5, D.Lgs. 152/06);
− importazione, esportazione, detenzione, utilizzo per scopo di lucro, acquisto, vendita,
esposizione o detenzione per la vendita o per fini commerciali di specie protette (Artt.1
e 2 – L. 150/92);
− Inquinamento doloso (Art. 8 -D.lgs. 202/07);
− Inquinamento colposo (Art. 8 -D.lgs. 202/07);
Impiego Di Cittadini Di Paesi Terzi Con Soggiorno Irregolare (art. 25-duodecies D.lgs
231/01)
− impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art.22, comma 12 bis,
D.lgs n.286/1998)
− ingresso irregolare (art. 12, c. 3-3bis e 3ter, D.Lgs. 286/1998)
Razzismo e Xenofobia (art. 25-terdecies D.lgs 231/01)
Art. 3 comma 3 bis della legge 13 ottobre 1975, n. 654 – Ratifica ed esecuzione della
convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale,
aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966. (Convenzione di New York – Eliminazione Della
Discriminazione Razziale)
Reati in materia di frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco di
scommessa e giochi d’azzardo a mezzo apparecchi vietati (art. 25-quaterdecies D.Lgs.
231/01, introdotto dalla L. 03.05.2019 n. 39)
− frode in competizioni sportive (Art. 1 L.401/89);
− esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa (Art. 4 L.401/89).
Reati Tributari (Art. 25-quinquesdecies, D.Lgs. n. 231/2001, introdotto dalla e
modificato dalla L. 19.12.2019 n. 159 e dal D.Lgs. 14.07.2020 n. 75)
− dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74/2000)
− dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. n. 74/2000)
− emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. n.
74/2000)
− occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D.Lgs. n. 74/2000)
− sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. n. 74/2000)
− delitti di cui agli articoli 4 – 5 e 10 quater D.Lgs. n. 74/2000 se commessi nell’ambito di
sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto
per un importo complessivo non inferiore ad Euro 10 milioni.
Contrabbando (art. 25 sexiesdecies, D.Lgs. 231/2001, introdotto dal D.Lgs. 14.07.2020
n. 75)
– Contrabbando (D.P.R. 23.01.1973 n. 43)
Delitti contro il patrimonio culturale (art. 25-spetiesdecies, D.Lgs. 231/01, articolo
introdotto dalla l. 28/2022)
– violazione in materia di alienazioni di beni culturali (art. 518-novies c.p.);
– appropriazione indebita di beni culturali (art. 518-ter c.p.);
– importazione illecita di beni culturali (art. 518-decies c.p.);
– uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518-undecies c.p.);
– distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito
di beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies c.p.);
– contraffazione di opere d’arte (art. 518-quaterdecies c.p.);
– furto di beni culturali (art. 518-bis c.p.);
– ricettazione di beni culturali (art. 518-quater c.p.);
– falsificazione in scrittura privata relativa a beni cultuali (art. 518-octies c.p.).
Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e
paesaggistici (art. 25-duodevicies, D.Lgs. 231/01, articolo introdotto dalla l. 22/2022)
− riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies c.p.);
− devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (518-terdecies c.p.).
§ 3.2. – Reati previsti da normative diverse.
Reati Transnazionali (artt.3 e 10 della legge 16 marzo 2006 n.146):
La legge 16 marzo 2006, n. 146 di “ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli
delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale”, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale dell’11 aprile 2006 (in vigore dal 12 aprile 2006), ha previsto la responsabilità
amministrativa dell’Ente per la realizzazione di un “reato transnazionale”, ossia di un
reato:
a) commesso in più di uno Stato;
b) ovvero commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione,
pianificazione, direzione o controllo sia avvenuta in un altro Stato;
c) ovvero commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale
organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
d) ovvero commesso in uno Stato ma che abbia effetti sostanziali in un altro Stato;
e) punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora
sia coinvolto un gruppo criminale organizzato.
Tali reati-presupposto sono:
– l’associazione per delinquere, di natura semplice e di tipo mafioso (artt. 4162 e 416-
bis3 c.p.);
– l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater
Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43);
– associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74
del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.
309);
– il traffico di migranti (art. 12, commi 3, 3-bis, 3-ter e 5, del Testo unico di cui al Decreto
Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni);
– l’induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità
giudiziaria (art. 377-bis c.p.);
– il favoreggiamento personale (378 c.p.4).
La fattispecie del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e
nel suolo e dell’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle
acque superficiali e sotterranee (articolo 192 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152).
Le fattispecie collegate alla disciplina delle attività trasfusionali e della produzione
nazionale degli emoderivati (articolo 22, comma 4, della Legge 21 ottobre 2005 n. 219).
2
Il presente articolo ha subìto un’integrazione con l’introduzione dell’ultimo comma in forza dell’art. 4 L. 01.10.2012,
n. 172 con decorrenza dal 23.10.2012 e con la L. 11.12.2016 n. 236 con la modifica del comma 6.
3
Il primo e il secondo comma del presente articolo sono stati modificati prima dall’art. 1, L. 05.12.2005, n. 251,
successivamente dall’art. 1, D.L. 23.05.2008, n. 92, in virtù dell’allegato alla L. 24.07.2008, n. 125, con decorrenza
26.07.2008, e da ultimo dall’art. 5, L. 27.05.2015, n. 69, con decorrenza dal 14.06.2015.
4
Il primo comma del presente articolo è stato così modificato dall’art. 10, comma 9, L. 20.12.2012, n. 237, con
decorrenza dal 23.01.2013.

CAPITOLO IV
ANALISI DELLE SINGOLE FATTISPECIE
DI REATO PRESUPPOSTO

I – REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
§ 1 – Le fattispecie di reato nei rapporti con la Pubblica Amministrazione richiamate dal
d.lgs. 231/2001.
La conoscenza della struttura e delle modalità realizzative dei reati, alla cui commissione da
parte dei soggetti qualificati ex art. 5 del d.lgs. 231/2001 è collegato il regime di responsabilità
a carico della società, è funzionale alla prevenzione dei reati stessi e quindi all’intero sistema
di controllo previsto dal decreto.
A tal fine, riportiamo, qui di seguito, una breve descrizione dei reati richiamati dagli artt. 24
(Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il
conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente
pubblico) e 25 (Concussione e corruzione) del d.lgs. 231/2001.
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Malversazione a danno dello Stato o dell’Unione Europea (art. 316-bis c.p.)
Presupposto del reato in esame è l’ottenimento di un contributo, di una sovvenzione o di un
finanziamento destinati a favorire opere o attività di pubblico interesse, erogati dallo Stato, da
altri enti pubblici o dalle Comunità europee (oggi Unione Europea).
Il nucleo essenziale della condotta si sostanzia in una cattiva amministrazione della somma
ottenuta, che viene utilizzata in modo non conforme allo scopo stabilito, in una distrazione
dell’erogazione dalle sue finalità.
Tale distrazione sussiste sia nell’ipotesi di impiego della somma per un’opera o un’attività
diversa, sia nella mancata utilizzazione della somma che rimanga immobilizzata.
Il delitto si consuma anche se solo una parte dei fondi viene distratta, ed anche nel caso in cui
la parte correttamente impiegata abbia esaurito l’opera o l’iniziativa cui l’intera somma era
destinata.
Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.)
Il reato in esame si configura quando taluno, mediante utilizzo o presentazione di
dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero mediante l’omissione di
informazioni dovute, consegue indebitamente per sé o per altri contributi, finanziamenti,
mutui agevolati e altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati
dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee (oggi Unione Europea).
La fattispecie si consuma con l’avvenuto ottenimento delle erogazioni (che costituisce l’evento
tipico del reato).
Controversi sono i rapporti fra la fattispecie in esame e quella cui all’art. 640-bis c.p. (Truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche).
Sul punto la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che: “L’art. 316 ter c.p. che
sanziona la condotta di chi, anche senza commettere artifici o raggiri, ottiene per sé o per altri
indebite erogazioni a carico dello Stato o di istituzioni comunitarie, è norma sussidiaria rispetto
all’art. 640 bis c.p. e dunque trova applicazione soltanto quando la condotta criminosa non
integra gli estremi di quest’ultimo reato. Ne consegue che….la condotta sanzionata dall’art. 316-
ter (meno grave rispetto alla truffa aggravata) copre unicamente gli spazi lasciati liberi dalle
previsioni di cui agli art. 640 e 640 bis c.p.1”
Frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.)
Tale fattispecie punisce chiunque commette frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o
nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo 355 del Codice Penale
(che fa riferimento agli obblighi che derivano da un contratto di fornitura concluso con lo
Stato, con un altro ente pubblico, o con un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica
necessità). L’articolo 356 codice penale punisce tutte le frodi in danno della pubblica
amministrazione, quali che siano gli schemi contrattuali in forza dei quali i fornitori sono
tenuti a particolari prestazioni.
Il reato è caratterizzato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di consegnare
cose o fornire servizi diversi da quanto pattuito: non sono perciò necessari specifici raggiri né
che i vizi della cosa fornita siano occulti, ma è sufficiente la dolosa in esecuzione del contratto
pubblico di fornitura di cose o servizi, con la conseguenza che ove ricorrano anche i suddetti
elementi caratterizzanti la truffa è configurabile il concorso tra i due delitti.
Si richiede, in sostanza, un comportamento, da parte del fornitore, non conforme ai doveri di
lealtà e moralità commerciale e di buona fede contrattuale: ed in questo consiste l’elemento
frode. Non si richiede, invece, un comportamento tendente a trarre in inganno il committente
ed a dissimulare le deficienze della fornitura, ma semplicemente la malafede nell’eseguire il
contratto in difformità dei patti.
Truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.)
Il delitto di truffa si sostanzia nel compimento di una condotta fraudolenta, connotata da
raggiri ed artifici, attraverso la quale si induce taluno in errore e conseguentemente si induce
il soggetto passivo al compimento di un atto di disposizione patrimoniale.
In particolare, l’artificio consiste in un’alterazione della realtà esterna dissimulatrice
dell’esistenza o simulatrice dell’inesistenza, che determina nel soggetto passivo una falsa
percezione della realtà, inducendolo in errore.
Il raggiro, invece, opera non sulla realtà materiale ma sulla psiche del soggetto, consistendo in
un avvolgimento subdolo dell’altrui psiche, mediante un programma ingegnoso di parole o
argomenti destinato a persuadere ed orientare in modo fuorviante le rappresentazioni e le
decisioni altrui.
La fattispecie che viene in considerazione ai sensi del d.lgs. 231/01, è l’ipotesi aggravata di cui
al comma 2 numero 1) dell’art. 640 c.p. per essere stato, cioè, il fatto commesso a danno dello
Stato o di altro ente pubblico.
Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.)
La parte oggettiva del reato è indicata mediante con il richiamo alla fattispecie di cui all’art.
640 della quale ripete tutti gli elementi costitutivi, appena menzionati, con la determinazione
a valere quale elemento specializzante, dell’oggetto materiale sul quale deve cadere l’attività
truffaldina, rappresentato da contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre
erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, da
altri enti pubblici o dalle Comunità europee.
Frode informatica (art. 640-ter c.p.)
La fattispecie delittuosa in esame si realizza quando un soggetto, alterando in qualsiasi modo
il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con
qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o
telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Si precisa che il reato in esame assume rilevanza ai fini del d.lgs. 231/01 se commesso in
danno dello Stato o di altro ente pubblico.
Frode ai danni del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia e del Fondo Europeo Agricolo
per lo Sviluppo Rurale (art. 2 l. 23.12.1986 n. 898)
Considerato la scarsa o nulla rilevanza della fattispecie per la Società, ci si limita di seguito a
riportare la previsione normativa:
“1. Ove il fatto non configuri il più grave reato previsto dall’articolo 640-bis del codice penale,
chiunque, mediante l’esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per sé o per
altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale
del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro
anni quando il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000. Quando la somma
indebitamente percepita è pari o inferiore a 5.000 euro si applica soltanto la sanzione
amministrativa di cui agli articoli seguenti.
2. Agli effetti della disposizione del precedente comma 1 e di quella del comma 1 dell’articolo 3,
alle erogazioni a carico del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo
per lo sviluppo rurale sono assimilate le quote nazionali previste dalla normativa comunitaria a
complemento delle somme a carico di detti Fondi, nonché le erogazioni poste a totale carico
della finanza nazionale sulla base della normativa comunitaria.
3. Con la sentenza il giudice determina altresì l’importo indebitamente percepito e condanna il
colpevole alla restituzione di esso all’amministrazione che ha disposto la erogazione di cui al
comma 1”.
Concussione (art. 317 c.p.)
Tale fattispecie si realizza quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio,
abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere
indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità.
La differenza rispetto alla corruzione risiede, principalmente, nell’esistenza di una situazione
idonea a determinare uno stato di soggezione del privato nei confronti del pubblico ufficiale.
Concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle
Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e degli Stati esteri (art. 322-
bis c.p.)
Le disposizioni degli artt. da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, c.p., si applicano anche a
membri delle Istituzioni comunitarie europee nonché ai funzionari delle stesse e dell’intera
struttura amministrativa comunitaria, ed alle persone comandate presso la Comunità con
particolari funzioni o addette ad enti previsti dai trattati. Le stesse disposizioni si applicano
anche alle persone che nell’ambito degli Stati membri dell’Unione Europea svolgono attività
corrispondenti a quelle che nel nostro ordinamento sono svolte da pubblici ufficiali o da
incaricati di un pubblico servizio.
Ciò premesso, va detto che l’art. 322-bis c.p. incrimina altresì – e questo è d’interesse per i
privati che abbiano a che fare con i soggetti sopra elencati – tutti coloro che compiano le
attività colpite dagli artt. 321 e 322 c.p. (cioè attività corruttive) nei confronti delle persone
medesime, e non solo i soggetti passivi della corruzione. Inoltre, l’art. 322-bis c.p. incrimina
anche l’offerta o promessa di denaro o altra utilità “a persone che esercitano funzioni o attività
corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito
di altri Stati esteri [diversi da quelli dell’Unione Europea, n.d.r.] o organizzazioni pubbliche
internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o altri un indebito vantaggio in
operazioni economiche internazionali” (art. 322-bis.2.2).
Le fattispecie di corruzione (artt. 318 e ss. c.p.)
Il reato di corruzione, in generale, consiste in un accordo criminoso avente ad aggetto il
mercimonio, il baratto dell’attività funzionale della pubblica amministrazione, a fronte della
dazione di una somma di danaro od altra utilità da parte del privato, nei confronti del
pubblico ufficiale. È sufficiente a configurare il reato in esame, anche la sola accettazione della
promessa inerente la suddetta dazione.
Il codice distingue innanzitutto la corruzione propria dalla corruzione impropria. La
corruzione è propria se il mercimonio dell’ufficio concerne un atto contrario ai doveri di
ufficio; la corruzione è impropria se la compravendita ha per oggetto un atto conforme ai
doveri di ufficio.
La corruzione poi si scinde in antecedente e susseguente: la prima si ha se la retribuzione è
pattuita anteriormente al compimento dell’atto e al fine di compierlo; la seconda si configura
se la retribuzione concerne un atto già compiuto. Nel caso di corruzione impropria
susseguente, l’art. 321 esclude la punibilità del corruttore.
Segnatamente, la fattispecie prevista dall’art. 318 c.p. (corruzione per un atto d’ufficio) si
realizza quando il pubblico ufficiale, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per
un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta o ne accetta la
promessa.
La fattispecie di cui all’art. 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) si
realizza quando il pubblico ufficiale per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un
atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di
ufficio, riceve per sé o per altri danaro od altra utilità o ne accetta la promessa.
Le disposizioni dell’articolo 319 c.p. si applicano anche se il fatto è commesso da persona
incaricata di un pubblico servizio; quelle di cui all’articolo 318 c.p. si applicano anche alla
persona incaricata di un pubblico servizio, quale definito dall’art. 358 c.p., ma solo qualora
rivesta la qualità di pubblico impiegato.
Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis,
nell’articolo 319-ter, 319-quater e nell’articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli
articoli 318 e 319, si applicano anche, per disposizione della norma qui in esame, a chi dà o
promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità.
La nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio è desumibile dalle
indicazioni di cui rispettivamente, agli articoli 357 e 358 c.p., di cui tra breve si dirà.
L’art. 322-bis c.p. estende le fattispecie delittuose di cui agli articoli in esame anche a condotte
compiute da membri della Corte Penale Internazionale o degli organi delle Comunità Europee
e di funzionari delle Comunità Europee e/o di Stato Esteri (si rinvia alla lettura dell’articolo
per una compiuta disamina delle fattispecie di estensione).
Corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.)
Tale fattispecie si realizza se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 c.p., poc’anzi delineati, sono
commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo.
La norma si applica non soltanto ai magistrati, ma anche a tutti i pubblici ufficiali che possono
influenzare il contenuto delle scelte giudiziarie.
In via esemplificativa potrà rispondere del reato in esame la Società che, coinvolta in un
processo il cui esito negativo potrebbe causarle un grave danno patrimoniale, decida di
corrompere il giudice per ottenere un risultato favorevole.
Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320 c.p.)
Le disposizioni dell’articolo 319 del codice penale si applicano anche se il fatto è commesso da
persona incaricata di un pubblico servizio; quelle di cui all’articolo 318 del codice penale si
applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, quale definito dall’articolo
358 del codice penale, ma solo qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.
Pene per il corruttore (articolo 321 del codice penale)
Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis,
nell’articolo 319-ter e nell’articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e
319, si applicano anche, per disposizione della norma qui in esame, a chi dà o promette al
pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità.
In altri termini, colui che corrompe commette una autonoma fattispecie di reato rispetto a
quella compiuta dal pubblico ufficiale (o dall’incaricato di pubblico servizio) che si è lasciato
corrompere nei modi e ponendo in essere le condotte contemplate negli articoli sopra
richiamati.
Istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.)
La fattispecie criminosa in esame contempla il fatto di chi offre o promette danaro od altra
utilità non dovuti, ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio che investe
la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, ovvero ad
omettere o ritardare un atto del suo ufficio, ovvero ancora a fare un atto contrario ai suoi
doveri, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata.
Traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.)
Commette il delitto di traffico di influenze illecite chi, fuori dei casi di concorso nei reati di
corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio o corruzione in atti giudiziari, sfruttando
relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio,
indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale,
come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un
pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai
doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
Nozione di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio
Agli effetti della legge penale, è comunemente considerato come “Ente della Pubblica
Amministrazione” qualsiasi persona giuridica che abbia in cura interessi pubblici e che svolga
attività legislativa, giurisdizionale o amministrativa in forza di norme di diritto pubblico e di
atti autoritativi.
Sebbene non esista nel codice penale una definizione di Pubblica Amministrazione, in base a
quanto stabilito nella Relazione Ministeriale allo stesso codice, la Pubblica Amministrazione
comprende, in relazione ai reati in esso previsti, “tutte le attività dello Stato e degli altri enti
pubblici”.
Nel tentativo di formulare una preliminare classificazione di soggetti giuridici appartenenti a
tale categoria, è possibile richiamare, da ultimo, l’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 in tema
di ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche che definisce
come amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato.
Si rileva che non tutte le persone fisiche che agiscono nella sfera e in relazione ai suddetti enti
siano soggetti nei confronti dei quali (o ad opera dei quali) si perfezionano le fattispecie
criminose richiamate dal d.lgs. 231/2001.
In particolare, le figure che assumono rilevanza a tal fine sono soltanto quelle dei “pubblici
ufficiali” e degli “incaricati di pubblico servizio”.
Ai sensi dell’art. 357 c.p., è considerato pubblico ufficiale “agli effetti della legge penale” colui
che “esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è
pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti
autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della
pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
Ai sensi dell’art. 358 c.p. “sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque
titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività
disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata, dalla mancanza dei
poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e
della prestazione di opera meramente materiale”.
Sul punto la giurisprudenza ha chiarito quanto segue. Al fine di individuare se l’attività svolta
da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli art.
357 e 358 c.p., ha rilievo esclusivo la natura delle funzioni esercitate, che devono essere
inquadrabili tra quelle della P.A. Non rilevano invece la forma giuridica dell’ente e la sua
costituzione secondo le norme del diritto pubblico, né lo svolgimento della sua attività in
regime di monopolio, né tanto meno il rapporto di lavoro subordinato dell’agente con
l’organismo datore di lavoro. Nell’ambito dei soggetti che svolgono pubbliche funzioni, la
qualifica di pubblico ufficiale è poi riservata a coloro che formano o concorrano a formare la
volontà della P.A. o che svolgono tale attività per mezzo di poteri autoritativi o certificativi,
mentre quella di incaricato di un pubblico servizio è assegnata dalla legge in via residuale a
coloro che non svolgono pubbliche funzioni ma che non curino neppure mansioni di ordine o
non prestino opera semplicemente materiale.
Al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica,
ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia, o non,
disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo
autore, distinguendosi poi – nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base del detto
parametro oggettivo – la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell’una) o la
mancanza (nell’altro) dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal comma
2 dell’art. 357 predetto.
Peculato (art. 314 c. 1 c.p., con esclusione della fattispecie di uso momentaneo del bene
di cui al comma 2), peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316 c.p.) e abuso
d’ufficio (art. 323 c.p.) quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione
Europea
Di seguito si indicano i tratti essenziali di ciascuna fattispecie:
– Peculato (art. 314 c. 1 c.p): tale ipotesi di reato punisce il pubblico ufficiale o
l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il
possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente alla pubblica Amministrazione,
se ne appropria, ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri.
– Peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316 c.p.): tale ipotesi di reato punisce
il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell’esercizio delle
funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per
sé o per un terzo, denaro od altra utilità.
– Abuso d’ufficio (art. 323 c.p.): tale ipotesi di reato punisce – salvo che il fatto non
costituisca un più grave reato – il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio
che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di
regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di
un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad
altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
Le tre fattispecie di reati previste e punite dagli artt. 314 comma 1, 316 e 323 c.p., ancorché
configurino “reati propri”, in quanto presuppongono la qualifica di pubblico ufficiale, ovvero,
di incaricato di pubblico servizio del loro autore, sono rilevanti anche per le Società in
controllo pubblico che erogano un servizio di rilevanza pubblica, atteso che in queste ultime
alcuni soggetti assumono qualifiche pubblicistiche in virtù dell’attività concretamente svolta.
II – I REATI INFORMATICI.
§ 1 – I reati informatici.
Il Decreto 231 ha recepito, con la Legge n. 48, art. 7, del 18 marzo 2008 la Convenzione del
Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, redatta a Budapest il 23 novembre 2001.
§ 2 – Analisi delle singole fattispecie.
Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter c.p.)
Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure
di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di
escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni:
1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con
abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita
anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di
operatore del sistema;
2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è
palesemente armato;
3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o
parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle
informazioni o dei programmi in esso contenuti.
Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di
interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla
protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione
da uno a cinque anni e da tre a otto anni.
Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri
casi si procede d’ufficio.
La norma non si limita a tutelare solamente i contenuti personalissimi dei dati raccolti nei
sistemi informatici protetti, ma offre una tutela più ampia che si concreta nello “ius excludendi
alios”, quale che sia il contenuto dei dati racchiusi in esso, purché attinente alla sfera di
pensiero o all’attività, lavorativa o non, dell’utente; con la conseguenza che la tutela della
legge si estende anche agli aspetti economico-patrimoniali dei dati sia che titolare dello “ius
excludendi” sia persona fisica, sia giuridica, privata o pubblica, o altro ente.
Il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico, che è reato di mera condotta, si
perfeziona con la violazione del domicilio informatico e, quindi, con l’introduzione in un
sistema costituito da un complesso di apparecchiature che utilizzano tecnologie informatiche,
senza che sia necessario che l’intrusione sia effettuata allo scopo di insidiare la riservatezza
dei legittimi utenti e che si verifichi un’effettiva lesione alla stessa.
L’art. 1 della Convenzione di Budapest chiarisce che per “sistema informatico” si considera
“qualsiasi apparecchiatura, dispositivo, gruppo di apparecchiature o dispositivi, interconnesse o
collegate, una o più delle quali, in base ad un programma, eseguono l’elaborazione automatica
di dati”.
Si tratta di una definizione molto generale che permette di includere qualsiasi strumento
elettronico, informatico o telematico, in rete (gruppo di dispositivi) o anche in grado di
lavorare in completa autonomia.
In questa definizione rientrano anche dispositivi elettronici che siano dotati di un software
che permette il loro funzionamento elaborando delle informazioni (o comandi).
Nel medesimo articolo è contenuta la definizione di “dato informatico”, che descrive il
concetto derivandolo dall’uso: “qualunque rappresentazione di fatti, informazioni o concetti in
forma idonea per l’elaborazione con un sistema informatico, incluso un programma in grado di
consentire ad un sistema informativo di svolgere una funzione”.
Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici
(art. 615quater c.p.)
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno,
abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri
mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza,
o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione
sino ad un anno e con la multa sino a euro 5.164.
La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da euro 5.164 a euro 10.329 se ricorre
taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell’articolo 617-quater.
Diffusione ed installazione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici
diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico (art.
615quinqiues c.p.)
Chiunque diffonde, comunica o consegna un programma informatico da lui stesso o da altri
redatto, avente per scopo o per effetto il danneggiamento di un sistema informatico o
telematico, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero l’interruzione,
totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, è punito con la reclusione sino a due
anni e con la multa sino a euro 10.329.
Gli articoli del Codice Penale summenzionati, previsti nel comma 2 del Decreto, hanno come
fattore comune la detenzione o diffusione di codici o programmi atti al danneggiamento
informatico.
Da un punto di vista tecnico, gli artt. 615quater e 615 quinquies possono essere considerati
accessori ai precedenti artt. 615ter, 635bis, 635ter e 635quater: la detenzione o dissezione di
codici di accesso o la detenzione o diffusione di programmi o dispositivi diretti a danneggiare
o interrompere un sistema telematico, di per sé non compiono alcun danneggiamento, se non
utilizzati per un accesso abusivo ad u sistema o nella gestione di un’intercettazione di
informazioni.
Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o
telematiche (art. 617 quater c.p.)
Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o
telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela,
mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle
comunicazioni di cui al primo comma.
I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.
Tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è
commesso:
1) in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico
o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;
2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con
violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di
operatore del sistema;
3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere
comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quinquies c.p.)
Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare,
impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico ovvero intercorrenti
tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’art.
617quater c.p.
Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici (art. 635 bis c.p.).
Chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o
telematici altrui, ovvero programmi, informazioni o dati altrui, è punito, salvo che il fatto
costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se ricorre una o più delle circostanze di cui al secondo comma dell’articolo 635, ovvero se il fatto
è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a
quattro anni.
Antecedentemente all’entrata in vigore della legge 23 dicembre 1993 n. 547 (in tema di
criminalità informatica), che ha introdotto in materia una speciale ipotesi criminosa, la
condotta consistente nella cancellazione di dati dalla memoria di un computer, in modo tale
da renderne necessaria la creazione di nuovi, configurava un’ipotesi di danneggiamento ai
sensi dell’art. 635 cod. pen. In quanto, mediante la distruzione di un bene immateriale,
produceva l’effetto di rendere inservibile l’elaboratore. (Nell’affermare detto principio, la
Corte ha precisato che tra il delitto di cui all’art. 635 cod. pen. e l’analoga speciale fattispecie
criminosa prevista dall’art. 9 della legge n. 547 del 1993 – che ha introdotto l’art. 635-bis cod.
pen. sul danneggiamento di sistemi informatici e telematici – esiste un rapporto di successione
di leggi nel tempo, disciplinato dall’art. 2 cod. pen.).
Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o
da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità (art. 635 ter c.p.).
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette un fatto diretto a distruggere,
deteriorare, cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici
utilizzati dallo stato o da altro ente pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità,
è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la
soppressione delle informazioni, la pena è della reclusione da tre a otto anni.
Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell’art. 635 c.p. ovvero se il
fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Danneggiamento di sistemi informatici o telematici (art. 635 quater c.p.).
Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all’art.
635bis c.p., ovvero attraverso l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi,
rende, il tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola
gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se ricorre una o più delle circostanze di cui al secondo comma dell’art. 635 c.p., ovvero se il fatto
è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è la reclusione da due a
sette anni.
Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità (art. 635
quinquies c.p.)
Se il fatto di cui all’art. 635quater è diretto a distruggere, danneggiare, rendere, in tutto o in
parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad ostacolare gravemente il
funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.
Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico o telematico di
pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile, la pena è della reclusione
da tre a otto anni.
Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell’art. 635 c.p. ovvero se il
fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Gli articoli del Codice Penale summenzionati, previsti nel comma 1 dell’art. 24 bis del Decreto,
hanno come fattore comune il “danneggiamento informatico”: si parla di danneggiamento
informatico quando, considerando la componente hardware e software, interviene una
modifica tale da impedirne il funzionamento, anche solo parziale.
Falsità in un documento informatico pubblico o avente efficacia probatoria (art. 491bis
c.p.)
Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o
privato, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubblici e
le scritture private. A tal fine per documento informatico si intende qualunque supporto
informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi
specificamente destinati ad elaborarli.
Il reato si configura nella falsità concernente direttamente i dati o le informazioni dotati, già di
per sé, di efficacia probatoria relativa a programmi specificatamente destinati ad elaborarli
indipendentemente da un riscontro cartaceo. Si chiarisce inoltre nella norma che per
documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o
informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli.
Frode informatica del certificatore di firma elettronica (art. 640quinquies c.p.).
Il certificatore che, violando gli obblighi previsti dall’art. 32 del codice dell’amministrazione
digitale, di cui al D. Lgs. 82/2005 e suc. Mod., per il rilascio di un certificato, procura a sé o ad
altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la
multa fino a 25.000 Euro.
Ostacolo e/o false informazioni in relazione al perimetro di sicurezza cibernetica
Chiunque, allo scopo di ostacolare o condizionare l’espletamento dei procedimenti di cui al
comma 2, lettera b), o al comma 6, lettera a), o delle attività ispettive e di vigilanza previste dal
comma 6, lettera c), fornisce informazioni, dati o elementi di fatto non rispondenti al vero,
rilevanti per la predisposizione o l’aggiornamento degli elenchi di cui al comma 2, lettera b), o ai
fini delle comunicazioni di cui al comma 6, lettera a), o per lo svolgimento delle attività ispettive
e di vigilanza di cui al comma 6), lettera c) od omette di comunicare entro i termini prescritti i
predetti dati, informazioni o elementi di fatto, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Trattasi di fattispecie introdotta nel settembre 2019 in relazione al cd. perimetro di sicurezza
cibernetica.
Gli articoli del Codice Penale summenzionati, previsti nel comma 3 dell’art. 24 bis del Decreto,
disciplinano illeciti che, a differenza di quelli sopradescritti (veri e propri reati informatici),
sono compiuti attraverso l’uso di un sistema informatico.
III – I REATI DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.
§ 1 – I reati di criminalità organizzata.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2009 (supplemento ordinario) la
Legge n. 94/09 del 15 luglio 2009 che introduce (art. 2, co. 29) definitivamente nel Decreto il
nuovo articolo 24-ter “Delitti di criminalità organizzata”.
Le ipotesi di reato sono le seguenti:
(a) delitti di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione o al mantenimento in
schiavitù, alla tratta di persone, all’acquisto e alienazione di schiavi ed ai reati
concernenti le violazioni delle disposizioni sull’immigrazione clandestina di cui all’art.
12 d. lgs 286/1998 (Art. 416, sesto comma c.p.);
(b) associazioni di tipo mafioso anche straniere (Art. 416-bis c.p.);
(c) scambio elettorale politico-mafioso (Art. 416 ter c.p.);
(d) sequestro di persona a scopo di estorsione (Art. 630 c.p.);
(e) associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope
(Art. 74 DPR 309/90)
Per tali reati è prevista la sanzione pecuniaria da € 400 a € 1.000, nonché la sanzione
interdittiva non inferiore ad 1 anno.
(f) associazione per delinquere (Art. 416, ad eccezione sesto comma, c.p.);
(g) delitti concernenti la fabbricazione ed il traffico di armi da guerra, esplosivi ed armi
clandestine (Art. 407 comma 2 lettera a) c.p.p)
Per tali reati è prevista la sanzione pecuniaria da € 300 a € 800, nonché la sanzione
interdittiva non inferiore ad 1 anno.
Infine, l’art. 24-ter stabilisce che se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente
utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati
precedentemente indicati, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio
dell’attività.
§ 2 – Analisi delle singole fattispecie.
Associazione per delinquere (Art. 416 c.p.)
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che
promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la
reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della
reclusione da uno a cinque anni.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque
a quindici anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, si
applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a
nove anni nei casi previsti dal secondo comma.
Associazione di tipo mafioso (Art. 416-bis. c.p.)
Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con
la reclusione da sette a dodici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la
reclusione da nove a quattordici anni.
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne
deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il
controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per
realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il
libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi
previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il
conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o
tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono
finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei
commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono
destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne
costituiscono l’impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni,
comunque localmente denominate, anche straniere , che valendosi della forza intimidatrice del
vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Scambio elettorale politico-mafioso (Art. 416-ter c.p.)
La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la
promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della
erogazione di denaro.
Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (Art. 630 c.p.)
Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto
come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.
Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona
sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.
Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.
Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti
la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le
pene previste dall’articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del
sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.
Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso
previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta
di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è
sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un
terzo a due terzi.
Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la
reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la
reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da
applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista
dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.
I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le
circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo.
Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (Art.
74. D.P.R. 309/1990)
1. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti
dall’articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito
per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni.
2. Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
3. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono
persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
4. Se l’associazione è armata la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non può essere inferiore a
ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o
materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
5. La pena è aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell’articolo
80.
6. Se l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’articolo 73, si
applicano il primo e il secondo comma dell’articolo 416 del codice penale.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia
efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse
decisive per la commissione dei delitti.
8. Quando in leggi e decreti è richiamato il reato previsto dall’articolo 75 della legge 22
dicembre 1975, n. 685, abrogato dall’articolo 38, comma 1, della legge 26 giugno 1990, n. 162, il
richiamo si intende riferito al presente articolo.
Delitti previsti dall’art. 407 comma 2, lettera a) n. 5 c.p.p.
delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello stato, messa in vendita, cessione, detenzione e
porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di
esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’art.
2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110.
IV – I REATI DI FALSO.
§ 1 – I reati di falso.
I reati di falso sono stati introdotti con l’inserimento dell’art. 25-bis del Decreto ad opera
dell’art. 6 del D.L. 25 settembre 2001 n. 350, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23
novembre 2001 n. 409.
§ 2 – Analisi della fattispecie.
Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di
monete falsificate (art. 453 c.p.)
E’ punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da euro 516 a euro 3.098:
1) chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;
2) chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l’apparenza di un valore
superiore;
3) chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, ma di concerto con chi
l’ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende
o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;
4) chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha
falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.
La stessa pena si applica a chi, legalmente autorizzato alla produzione, fabbrica indebitamente,
abusando degli strumenti o dei materiali nella sua disponibilità, quantitativi di monete in
eccesso rispetto alle prescrizioni.
La pena è ridotta di un terzo quando le condotte di cui al primo e secondo comma hanno ad
oggetto monete non aventi ancora corso legale e il termine iniziale dello stesso è determinato.
Alterazione di monete (art. 454 c.p.)
Chiunque altera monete della qualità indicata nell’articolo precedente, scemandone in qualsiasi
modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti
indicati nei n. 3 e 4 del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la
multa da euro 103 a euro 516.
Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate la norma (art.
455 c.p.)
Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato,
acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le
spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte
da un terzo alla metà.
Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede (art. 457 c.p.)
Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui
ricevute in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032.
Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa
in circolazione di valori di bollo falsificati (art. 459 c.p.)
Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione o alterazione
di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, o all’acquisto, detenzione e messa
in circolazione di valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.
Agli effetti della legge penale, si intendono per valori di bollo la carta bollata, le marche da bollo,
i francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.
Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico
credito o di valori di bollo (art. 460 c.p.)
Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di
pubblico credito o dei valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta contraffatta, è
punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da due a sei anni e con la
multa da euro 309 a euro 1.032.
Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di
monete, di valori di bollo o di carta filigranata (art. 461 c.p.)
Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane, programmi e dati informatici o strumenti
destinati alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata è
punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni e con
la multa da euro 103 a euro 516.
La stessa pena si applica se le condotte previste dal primo comma hanno ad oggetto ologrammi
o altri componenti della moneta destinati ad assicurare la protezione contro la contraffazione o
l’alterazione.
Uso di valori di bollo contraffatti o alterati (art. 464 c.p.)
Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, fa uso di valori di bollo
contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 516.
Se i valori sono stati ricevuti in buona fede, si applica la pena stabilita nell’articolo 457, ridotta
di un terzo.
Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli
e disegni (art. 473 c.p.)
Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera
marchi o segni distintivi, nazionali o esteri di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere
concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffati o alterati, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.
Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro
35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali nazionali o esteri,
ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o
modelli contraffati o alterati.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate
le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla
tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.)
Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall’art. 473, chiunque introduce nel territorio dello
Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o
esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da
euro 3.500 a euro 35.000.
Fuori dei cassi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello
Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine
di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e
con la multa fin a euro 20.000.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate
le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla
tutela della proprietà intellettuale o industriale.
V – REATI CONTRO L’INDUSTRIA ED IL COMMERCIO.
§ 1 – I reati di offesa all’industria ed al commercio.
In tempi recenti, l’elenco dei reati suscettibili di determinare la responsabilità amministrativa
di un Ente è stato ulteriormente ampliato: è stata infatti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.
176 del 31 luglio 2009 (supplemento ordinario n. 136) la Legge n. 99/09 del 23 luglio 2009,
recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia
di energia”, che introduce (art. 15, co. 7) nel Decreto il nuovo articolo 25-bis.1 “Delitti contro
l’industria e il commercio”.
§ 2 – Analisi della fattispecie.
Turbata libertà dell’industria o del commercio (Art. 513 c.p.)
Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio
di un’industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non
costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a
euro 1.032.
Illecita concorrenza con minaccia o violenza (Art. 513-bis. c.p.)
Chiunque nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie
atti di concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena
è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un’attività finanziaria in tutto o in parte ed in
qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici.
Frodi contro le industrie nazionali (Art. 514)
Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o
esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un
nocumento all’industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa
non inferiore a euro 516.
Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle
convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si
applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.
Frode nell’esercizio del commercio (Art. 515 c.p.)
Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico,
consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine,
provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto
non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro
2.065. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non
inferiore a euro 103.
Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (Art. 516 c.p.)
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari
non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032.
Vendita di prodotti industriali con segni mendaci (Art. 517 c.p.)
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti
industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il
compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non
è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la
multa fino a ventimila euro.
Da notare che con L. 23/9/2009, n. 99, il Codice penale è stato dotato di due ulteriori
fattispecie delittuose, rilevanti anche ai fini del Decreto.
Si tratta in particolare, delle fattispecie seguenti:
Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
(Art. 517ter c.p.).
Salva l’applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo
di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati
usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della
persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato,
detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in
circolazione i beni di cui al primo comma.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474 bis, 474 ter, secondo comma, e 517 bis,
secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le
norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla
tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Contraffazione di indicazioni geografiche denominazioni di origine dei prodotti
agroalimentari (Art. 517quater c.p.).
Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di
prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro
20.000.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine, di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato,
detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in
circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474 bis, 474 ter, secondo comma, e 517 bis,
secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate
le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in
materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti
agroalimentari.
VI – I REATI SOCIETARI.
§ 1 – I reati societari richiamati dall’articolo 25-ter del d.lgs. 231/2001
La conoscenza della struttura e delle modalità realizzative dei reati, alla cui commissione da
parte dei soggetti qualificati ex art. 5 del Decreto è collegato il regime di responsabilità a
carico dell’ente, è funzionale alla prevenzione dei reati stessi e quindi all’intero sistema di
controllo previsto dal Decreto.
A tal fine, si riporta di seguito una descrizione dei reati richiamati dall’art. 25-ter del Decreto,
in base al quale “In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, se commessi
nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone
sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in
conformità degli obblighi inerenti alla loro carica, si applicano le seguenti sanzioni
pecuniarie………”
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
False comunicazioni sociali (art. 2621 del codice civile, così come modificato dall’art.
30 della legge 28 dicembre 2005, n. 262).
Questo reato si realizza tramite l’esposizione nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre
comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, di fatti materiali non
rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale
o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene con l’intenzione di ingannare i
soci o il pubblico; ovvero tramite l’omissione, con la stessa intenzione, di informazioni sulla
situazione medesima la cui comunicazione è imposta dalla legge.
Si precisa che:
(a) soggetti attivi del reato possono essere amministratori, direttori generali, dirigenti
preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori (trattasi,
quindi, di cd. “reato proprio”), nonché coloro che secondo l’articolo 110 del codice
penale concorrono nel reato da questi ultimi commesso;
(b)la condotta deve essere rivolta a conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto;
(c) la condotta deve essere idonea ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni;
(d)la responsabilità si ravvisa anche nell’ipotesi in cui le informazioni riguardino beni
posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi;
(e) la punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la
rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o
del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le
omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo
delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non
superiore all’1%;
(f) in ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che,
singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella
corretta;
Nei casi previsti dai commi terzo e quarto dell’art 2621 c.c. (così come modificato dall’art. 30
della legge 28 dicembre 2005, n. 262), ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la
sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle
persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di
amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione
dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza
della persona giuridica o dell’impresa.
L’art. 2621 bis c.c., in relazione alla fattispecie delittuosa sopra riportata, prevede pene
attenuate per i fatti di lieve entità tenuto conto delle dimensioni dell’impresa.
False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori (art. 2622
codice civile, così come modificato dal secondo comma dell’art. 30 della legge 28
dicembre 2005, n. 262)
Questo reato si realizza tramite l’esposizione, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre
comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, di fatti materiali non
rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero attraverso l’omissione di
informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica,
patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo
ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionando un danno patrimoniale
alla società, ai soci o ai creditori.
Si precisa che:
(a) soggetti attivi del reato possono essere amministratori, direttori generali, dirigenti
preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori (trattasi,
quindi, di cd. “reato proprio”), nonché coloro che secondo l’articolo 110 del codice
penale concorrono nel reato da questi ultimi commesso;
(b)la condotta deve essere rivolta a conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto;
(c) la condotta deve essere idonea ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni;
(d)la responsabilità si ravvisa anche nell’ipotesi in cui le informazioni riguardino beni
posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi;
(e) la punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la
rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o
del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le
omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo
delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non
superiore all’1%;
(f) in ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che,
singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella
corretta;
Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo dell’art 2622 c.c. (così come modificato dall’art.
30 della legge 28 dicembre 2005, n. 262), ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la
sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle
persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di
amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione
dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza
della persona giuridica o dell’impresa.
Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di
cui al d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al
primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d’ufficio.
Impedito controllo (art. 2625 c.c.)
Il reato consiste nell’impedire od ostacolare, mediante occultamento di documenti od altri
idonei artifici, lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai
soci, ad altri organi sociali, ovvero alla società di revisione.
Si precisa che:
(a) soggetti attivi sono gli amministratori;
(b) si configura illecito penale, procedibile a querela di parte, se la condotta ha cagionato
un danno ai soci.
La legge 28 dicembre 2005, n. 262, dopo il secondo comma dell’art. 2625, ha inserito il
seguente comma:
“La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani
o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi
dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”.
Indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.)
La condotta tipica prevede, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, la
restituzione, anche simulata, dei conferimenti ai soci o la liberazione degli stessi dall’obbligo
di eseguirli.
Si precisa che soggetti attivi sono gli amministratori.
La fattispecie in esame, così come quella successiva prevista dall’art. 2627, sanziona una
condotta idonea a determinare un pregiudizio per la società, risolvendosi in una forma di
aggressione al capitale sociale, a vantaggio dei soci.
Sotto un profilo astratto, pare invero difficile che il reato in esame possa essere commesso
dagli amministratori nell’interesse o a vantaggio della società, implicando in tal modo una
responsabilità dell’ente. Più delicato si presenta il problema in relazione ai rapporti
intragruppo, essendo possibile che una società, avendo urgente bisogno di disponibilità
finanziarie, si faccia indebitamente restituire i conferimenti effettuati ai danni di un’altra
società del gruppo. In tale ipotesi, in considerazione della posizione assunta dalla prevalente
giurisprudenza che disconosce l’autonomia del gruppo societario inteso come concetto
unitario, è ben possibile che, sussistendone tutti i presupposti, possa configurarsi una
responsabilità dell’ente per il reato di indebita restituzione dei conferimenti commesso dai
suoi amministratori.
Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627 c.c.)
Tale condotta criminosa consiste nel ripartire utili o acconti sugli utili non effettivamente
conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero ripartire riserve, anche non costituite con
utili, che per legge non possono essere distribuite.
Si fa presente che:
(a) soggetti attivi sono gli amministratori;
(b) configura una modalità di estinzione del reato la restituzione degli utili o la
ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio.
Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art. 2628
c.c.)
Questo reato si perfeziona con l’acquisto o la sottoscrizione, fuori dei casi consentiti dalla
legge, di azioni o quote sociali proprie o della società controllante che cagionino una lesione
all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.
Si fa presente che:
(a) soggetti attivi sono gli amministratori;
(b) configura una modalità di estinzione del reato la ricostituzione del capitale sociale o
delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio, relativo
all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta.
Operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.)
La fattispecie si realizza con l’effettuazione, in violazione delle disposizioni di legge a tutela
dei creditori, di riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, che
cagionino danno ai creditori.
Si fa presente che:
(a) soggetti attivi sono gli amministratori;
(b) configura una modalità di estinzione del reato il risarcimento del danno ai creditori
prima del giudizio.
Trattandosi di un reato che viene di regola commesso al fine di preservare l’interesse sociale,
a scapito dei diritti dei creditori, evidente è il rischio che alla sua commissione da parte degli
amministratori consegua un coinvolgimento della persona giuridica nel relativo
procedimento penale.
Tipico è il caso, ad esempio, di una fusione tra una società in floride condizioni economiche ed
un’altra in stato di forte sofferenza, realizzata senza rispettare la procedura prevista dall’art.
2503 a garanzia dei creditori della prima società, che potrebbero vedere seriamente lesa la
garanzia per essi rappresentata dal capitale sociale.
Essenziale appare dunque il richiamo – indirizzato in particolare agli amministratori – al
rispetto delle norme civili poste a tutela dei creditori in fasi tanto delicate della vita della
società.
Omessa comunicazione del conflitto d’interessi (art. 2629-bis c.c.)
L’art. 31 della legge del 28 dicembre 2005, n. 262, ha introdotto nel libro V, titolo XI, capo III
del codice civile, prima dell’articolo 2630, l’art. 2629-bis.
La norma mira a rafforzare, attraverso la criminalizzazione del comportamento
dell’amministratore o del componente del consiglio di gestione, la sanzione civile prevista
dall’art. 2391 per i casi in cui un amministratore di una società quotata o con titoli diffusi o di
una società sottoposta a vigilanza ai sensi del TUB e delle leggi in materia di assicurazioni e di
fondi pensione, non abbia comunicato la presenza di un interesse proprio rispetto a quello
della società in una determinata operazione.
La fattispecie di reato si realizza qualora l’amministratore o il componente del consiglio di
gestione, violando gli obblighi di comunicazione di un conflitto di interesse agli
amministratori e al Consiglio di Sorveglianza previsti dall’art. 2391, primo comma, del codice
civile abbiano cagionato un danno alla società o a terzi.
Si precisa inoltre che:
(a) soggetti attivi sono gli amministratori e i componenti del consiglio di gestione;
(b) oggetto della comunicazione deve essere “ogni interesse in una determinata operazione
della società” e non solo quello in conflitto con l’interesse sociale;
(c) l’interesse a cui la norma fa riferimento è di natura patrimoniale ed extrapatrimoniale.
Formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.)
Tale reato può consumarsi quando: viene formato o aumentato fittiziamente il capitale della
società mediante attribuzione di azioni o quote sociali in misura complessivamente superiore
all’ammontare del capitale sociale; vengono sottoscritte reciprocamente azioni o quote;
vengono sopravvalutati in modo rilevante i conferimenti dei beni in natura, i crediti ovvero il
patrimonio della società, nel caso di trasformazione.
Si precisa che soggetti attivi sono gli amministratori e i soci conferenti.
Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.)
Il reato si perfeziona con la ripartizione di beni sociali tra i soci prima del pagamento dei
creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, che cagioni un
danno ai creditori.
Si fa presente che:
(a) soggetti attivi sono i liquidatori;
(b) costituisce una modalità di estinzione del reato il risarcimento del danno ai creditori
prima del
giudizio.
Corruzione fra privati (art. 2635 c.c.).
A seguito dell’intervento attuato con L 26/1/2010, n. 39, è stata introdotta la nuova
fattispecie incriminatrice della corruzione tra privati.
La condotta criminosa si realizza da parte di amministratori, direttori generali, dirigenti
preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori, che, a seguito
della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiono od
omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà,
cagionando nocumento alla società.
È previsto un raddoppio di pena se il soggetto offeso è una società quotata.
Illecita influenza sull’assemblea (art. 2636 c.c.)
La condotta tipica prevede che si determini, con atti simulati o con frode, la maggioranza in
assemblea allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto.
Aggiotaggio (art. 2637 c.c.)
La realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie false ovvero si pongano in
essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile
alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata
richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in
modo significativo sull’affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale di banche o
gruppi bancari.
Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 del
c.c.)
La condotta criminosa si realizza attraverso l’esposizione nelle comunicazioni alle autorità di
vigilanza previste dalla legge, al fine di ostacolarne le funzioni, di fatti materiali non
rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale
o finanziaria dei soggetti sottoposti alla vigilanza; ovvero attraverso l’occultamento con altri
mezzi fraudolenti, in tutto o in parte, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati,
concernenti la situazione medesima.
La condotta criminosa si realizza, altresì, quando siano, in qualsiasi forma, anche mediante
omissione delle comunicazioni dovute, intenzionalmente ostacolate le funzioni delle autorità
di vigilanza.
Si precisa che:
(a) soggetti attivi sono gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di
società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza,
o tenuti ad obblighi nei loro confronti;
(b)la responsabilità si ravvisa anche nell’ipotesi in cui le informazioni riguardino beni
posseduti o amministrati dalla società per conto terzi.
L’art. 39, comma 2, lett. c, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 ha aggiunto all’art. 2638 c.c. il
seguente comma: “La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati
regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura
rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58”.
VII – I REATI DI TERRORISMO.
§ 1 – I reati di terrorismo
L’art. 25-quater (Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico),
introdotto nel Decreto dall’art. 3 della legge 14 gennaio 2003, n. 7 (Ratifica della Convenzione
internazionale contro il finanziamento del terrorismo), dispone l’applicazione di sanzioni alla
società i cui soggetti apicali o sottoposti compiano, nell’interesse o a vantaggio dell’ente,
delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, previsti dal codice
penale e dalle leggi speciali nonché delitti, diversi da quelli sopra indicati, “che siano
comunque stati posti in essere in violazione di quanto previsto dall’articolo 2 della Convenzione
internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9
dicembre 1999”.
La norma in esame, a differenza delle altre contenute nel Decreto, non prevede un elenco
tassativo di reati alla cui commissione può conseguire la responsabilità della società;
viceversa, è fatto riferimento a fattispecie generiche, accomunate dalla particolare finalità di
terrorismo o eversione dell’ordine democratico, rinviando, per la loro esatta individuazione,
al codice penale, alle leggi speciali e alla Convenzione di New York.
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Sono principali reati presupposto della responsabilità con riferimento alla categoria dei
“delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, previsti dal codice
penale e dalle leggi speciali”, le fattispecie di seguito indicate.
– l’art. 270 c.p. (Associazioni sovversive) che punisce chiunque nel territorio dello Stato
promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire
violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere
violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato;
– l’art. 270-bis c.p. (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di
eversione dell’ordine democratico) che punisce chiunque promuove, costituisce, organizza,
dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti violenti con finalità
terroristiche, anche quando diretti contro uno Stato estero, una istituzione od organismo
internazionale, o eversive (in particolare, è punita la condivisione del medesimo programma
criminoso a prescindere dalla effettiva commissione dei singoli reati scopo);
– l’art. 270-ter c.p. (Assistenza agli associati) che punisce chiunque dà rifugio o fornisce
vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che
partecipano alle associazioni con finalità terroristiche o eversive;
– l’art. 270-quater c.p. (Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale);
– l’art. 270-quinques c.p. (Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche
internazionale);
– l’art. 270-sexies c.p. (Condotte con finalità di terrorismo);
– l’art. 280 c.p. (Attentato per finalità terroristiche o di eversione);
– l’art. 280-bis c.p. (Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi);
– l’art. 289-bis c.p. (Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione);
– l’art. 302 c.p. che disciplina l’istigazione a uno dei reati qui indicati;
Attenzione meritano inoltre le fattispecie di cui agli artt. 272 c.p. (Propaganda ed apologia
sovversiva o antinazionale), 284 c.p. (Insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 304
c.p. (Cospirazione politica mediante accordo), 305 c.p. (Cospirazione politica mediante
associazione), art. 306 c.p. (Banda armata: formazione e partecipazione), art. 307 c.p.
(Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata);
– l’art. 1 della l. 15/1980 prevede una aggravante applicabile ove qualsiasi reato è commesso
per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico;
– la l. 342/1976 punisce i delitti contro la sicurezza della navigazione aerea;
– la l. 422/1989 punisce i reati diretti contro la sicurezza della navigazione marittima e i reati
diretti contro la sicurezza delle installazioni fisse sulla piattaforma intercontinentale.
L’art. 25-quater, quarto comma, del Decreto prevede una ulteriore ipotesi di responsabilità
amministrativa collegata alla commissione di delitti posti in essere in violazione di quanto
previsto dall’art. 2 della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del
terrorismo, fatta a New York il 9 dicembre 1999. Ai sensi di detta Convenzione, tutti gli Stati
membri sono invitati (i) a prevenire e contrastare, tramite adeguate misure a livello
nazionale, il finanziamento di terroristi e organizzazioni terroristiche, sia di tipo diretto o
indiretto tramite organizzazioni con dichiarati o presunti fini caritativi, sociali o culturali o
che sono anche implicate in attività illegali come traffico di armi, di stupefacenti o attività di
racket, incluso lo sfruttamento di persone al fine di finanziare attività terroristiche, e in
particolare (ii) a considerare, laddove necessario, di adottare disposizioni normative tese a
contrastare movimenti finanziari che si sospetti siano destinati a fini terroristici, senza
minacciare in alcun modo la circolazione dei capitali legali e per intensificare lo scambio di
informazioni relative alla circolazione internazionale di tali fondi.
Secondo l’art. 2 della predetta Convenzione commette un reato chiunque con qualsiasi mezzo,
direttamente o indirettamente, illegalmente e intenzionalmente, fornisce o raccoglie fondi con
l’intento di utilizzarli o sapendo che sono destinati ad essere utilizzati, integralmente o
parzialmente (anche qualora i fondi non vengano poi effettivamente utilizzati), al fine di
compiere:
– atti diretti a causare la morte o gravi lesioni di civili, quando con ciò si realizzi un’azione
finalizzata ad intimidire una popolazione, o coartare un governo o un’organizzazione
internazionale;
– atti costituenti reato ai sensi delle Convenzioni in materia di: sicurezza del volo e della
navigazione; tutela del materiale nucleare; protezione di agenti diplomatici; repressione di
attentati mediante uso di esplosivi.
Con riferimento al contrasto finanziario del terrorismo, è inoltre fatto riferimento alla
Posizione comune del Consiglio dell’Unione europea n. 931 del 27 dicembre 2001 che ha
previsto la predisposizione e aggiornamento dell’elenco di “persone, gruppi ed entità coinvolti
in atti terroristici” sulla base di informazioni precise raccolte dall’autorità competente.
Per l’Italia, sono state introdotte le liste di riferimento relative al contrasto finanziario al
terrorismo pubblicate dall’Unità di Informazione Finanziaria (UIF), anche con riferimento a
liste di altre Autorità (di seguito, le “Liste di Riferimento”).
VIII – I REATI CONTRO LA PERSONALITÀ INDIVIDUALE.
§ 1 – I reati contro la personalità individuale.
L’art. 25-quinquies (Delitti contro la personalità individuale), introdotto nel Decreto dall’art. 5
della legge 11 agosto 2003, n. 228 (Ratifica della Convenzione internazionale contro il
finanziamento del terrorismo), dispone l’applicazione di sanzioni alla società i cui soggetti
apicali o sottoposti compiano, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, delitti contro la
personalità individuale.
Nel novero dei reati qui analizzati si ritiene di inserire anche il delitto di cui all’art. 25-quater1
del Decreto in relazione alla previsione di cui all’art. 583-bis c.p.
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
La categoria di reati in esame, così come modificata e integrata dalla legge 6 febbraio 2006, n.
38, include i delitti seguenti:
– Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis c.p.) (introdotto
con L. 7/2006);
– riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.);
– reati connessi alla prostituzione minorile e allo sfruttamento della stessa (art. 600-bis
c.p.);
– reati connessi alla pornografia minorile e allo sfruttamento della stessa (art. 600-ter
c.p.);
– detenzione di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei
minori (art. 600-quater c.p.);
– pornografia virtuale (art. 600-quater, 1 c.p.);
– iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-
quinquies c.p.);
– tratta di persone (art. 601 c.p.);
– acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.);
– intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p);
– adescamento di minorenni (art. 609-undecies c.p.)
Ai sensi dell’art. 25-quinquies del d.lgs. 231/2001, sono comminate sanzioni interdittive (oltre
a sanzioni pecuniarie) a carico delle società i cui amministratori o dipendenti (così come
definiti nell’art. 5 del medesimo d.lgs. 231/2001) commettono, nell’interesse o a vantaggio
delle società stesse, i delitti di cui agli artt. 600; 600-bis, primo comma; 600-ter, primo e
secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater.1; 600-
quinquies; 601; 602, del codice penale.
Fatta eccezione per la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, secondo
quanto stabilito dal terzo comma dell’art. 25-quinquies del d.lgs. 231/2001, sanzioni solo
pecuniarie sono previste per i delitti di cui agli articoli:
– 600-bis, secondo comma, c.p.; si tratta di norma sussidiaria che punisce i soggetti che
compiono atti sessuali con minorenni di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni in
cambio di denaro o di altre utilità economiche;
– 600-ter, terzo e quarto comma, c.p.; tale norma prevede due sub-fattispecie: la prima
colpisce allo stesso modo sia chi distribuisce, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico
realizzato nei modi descritti dal primo comma della stessa norma, sia chi distribuisce o
diffonde notizie o informazioni che servono per adescare minori e per sfruttarli sessualmente.
La seconda sub-fattispecie punisce invece la condotta di chi offre o cede, anche a titolo
gratuito, il predetto materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento dei minori;
– 600-quater c.p.; tale ultima norma punisce chiunque consapevolmente si procura o detiene
materiale pornografico realizzato (da altri e non da lui) utilizzando minori di anni diciotto con
le modalità descritte nel sopra illustrato art. 600-ter c.p.
Con riferimento alle attività aziendali, i profili di rischio rilevanti possono ravvisarsi nei casi
in cui si agisca in concorso con soggetti terzi. Infatti, per “commissione” di detti reati deve
intendersi anche l’ipotesi di “concorso” negli stessi, ossia prestazione di un contributo causale
consapevole alla loro commissione diretta da parte di terzi: affidando loro, ad esempio,
l’esecuzione autonomamente organizzata di specifiche lavorazioni o forniture di beni o
servizi.
Affinché possa configurarsi concorso nel reato dell’esponente della società è necessario che
tale condotta si risolva, quanto meno, nell’agevolazione del fatto delittuoso dell’autore e che
l’operatore sia a conoscenza della finalità illecita che la controparte contrattuale persegue.
IX – I REATI DI MARKET ABUSE (ABUSI DI MERCATO).
§ 1 – I reati di market abuse.
Le disposizioni di cui all’art. 25ter e sexies del Decreto fanno riferimento a talune fattispecie
definite generalmente – con particolare riguardo al settore delle società quotate o in corso di
quotazione – in termini di reati di market abuse.
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Aggiotaggio (art. 2637 c.c.)
La realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie false ovvero si pongano in
essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile
alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata
una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad
incidere in modo significativo sull’affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale di
banche o gruppi bancari.
Abuso di informazioni privilegiate (art. 184 D.Lgs. 58/1998)
La fattispecie si realizza quando:
chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di
membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della
partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una
professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio; ovvero chiunque, essendo in
possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività
delittuose: a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per
conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni
medesime; b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro,
della professione, della funzione o dell’ufficio; c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse,
al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
È previsto un aggravamento della pena nel caso di rilevante offensività del fatto in ragione
delle qualità personali del colpevole o dell’entità del prodotto o del profitto conseguito dal
reato.
Manipolazione del mercato (art. 185 D.Lgs. 58/1998).
La realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie false ovvero si pongano in
essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile
alterazione del prezzo di strumenti finanziari.
Anche in questo caso è previsto un aggravamento della pena nell’ipotesi di rilevante
offensività del fatto in ragione delle qualità personali del colpevole o dell’entità del prodotto o
del profitto conseguito dal reato.
Illeciti amministrativi richiamati dall’articolo 187 quinquies del D.Lgs. 58/1998.
L’art. 187 bis e ss. del T.U. della finanza, introduce un sistema a “doppio binario” in base al
quale, alle sanzioni tipicamente penali comminate per la commissione dei reati di market
abuse, si aggiungono specifiche sanzioni amministrative di natura pecuniaria, irrogate dalla
Consob, per il caso in cui le pressoché medesime condotte realizzate o tentate colposamente,
non configurino un reato, bensì un semplice illecito amministrativo (abuso di informazioni
privilegiate – art. 187 bis T.U. della finanza e manipolazione del mercato – art. 187 ter T.U.
della finanza).
Qualora tale illecito amministrativo sia stato commesso da persone riconducibili alle categorie
dei “soggetti apicali” e dei “soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza”, nell’interesse o
a vantaggio di una società, in base all’art. 187 quinquies del T.U. della finanza, tale società può
essere, altresì, ritenuta responsabile del pagamento di una somma pari all’importo della
sanzione amministrativa pecuniaria irrogata alla persona fisica autrice dell’illecito.
Abuso di informazioni privilegiate (articolo 187 bis D.Lgs. 58/1998)
La fattispecie si realizza quando:
chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di
membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della
partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una
professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio; ovvero chiunque, essendo in
possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività
delittuose; ovvero chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo
conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse: a) acquista,
vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per
conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) comunica
informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della
funzione o dell’ufficio; c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di
taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
È previsto un aggravamento della pena in ragione delle qualità personali del colpevole ovvero
dell’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito.
Manipolazione del mercato (art. 187 ter D.Lgs. 58/1998)
La fattispecie si realizza quando chiunque:
tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni,
voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false
ovvero fuorvianti
in merito agli strumenti finanziari; ovvero pone in essere: a) operazioni od ordini di
compravendita che forniscano o siano idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito
all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari, salvo che dimostri di avere agito
per motivi legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato interessato;
b) operazioni od ordini di compravendita che consentono, tramite l’azione di una o di più
persone che agiscono di concerto, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti
finanziari ad un livello anomalo o artificiale, salvo che dimostri di avere agito per motivi
legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato interessato; c)
operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi od ogni altro tipo di inganno o di
espediente; d) altri artifizi idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all’offerta,
alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari.
È previsto un aggravamento della pena in ragione delle qualità personali del colpevole,
dell’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito ovvero degli effetti prodotti sul
mercato.
Il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la CONSOB ovvero su proposta della
medesima, può individuare, con proprio regolamento, le fattispecie, anche ulteriori rispetto a
quelle sopra descritte, rilevanti ai fini dell’applicazione della disposizione in commento.
La CONSOB rende noti, con proprie disposizioni, gli elementi e le circostanze da prendere in
considerazione per la valutazione dei comportamenti idonei a costituire manipolazioni di
mercato.
X – REATI IN MATERIA DI SICUREZZA, IGIENE E SALUTE SUL LAVORO.
§ 1 – I reati in materia di sicurezza, igiene e salute sul lavoro.
L’art. 25-septies del decreto legislativo n. 231 del 2001 è stato introdotto dalla legge 9 agosto
2007, n. 123 (entrata in vigore il 25/08/2007) e successivamente sostituito dal decreto
legislativo n. 81 del 9 aprile 2008.
L’articolo in esame ha introdotto la disposizione di cui all’art. 25septies, in virtù della quale
“…In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione
dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto
2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in
misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si
applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a
tre mesi e non superiore ad un anno.
Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice
penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si
applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500
quote.
Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni
interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non
superiore ad un anno. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice
penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si
applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per
il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9,
comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.”
Attraverso la novella, il Legislatore ha inteso ampliare la sfera della responsabilità
amministrativa delle società, estendendo l’elenco dei reati presupposto fino a ricomprendere
(per la prima volta) due fattispecie colpose (le lesioni colpose gravi e gravissime e l’omicidio
colposo) commessi in violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza dei
lavoratori (di cui all’abrogato decreto legislativo n. 626 del 1994 e al vigente decreto
legislativo n. 81 del 2008).
Il mutamento di politica legislativa relativa ai corporate crimes è, in questa norma, evidente:
per la prima volta viene estesa in Italia l’applicazione della disciplina sulla responsabilità degli
enti a ipotesi di fattispecie colpose.
Per determinare la responsabilità del datore di lavoro (ricordiamo che per la configurabilità
della responsabilità amministrativa dell’ente sono richiesti i requisiti indicati nel Decreto, cfr.
art. 5, ovvero che il reato sia stato commesso “nell’interesse o a vantaggio dell’ente” stesso),
non occorre che sia integrata la violazione di norme specifiche dettate per prevenire infortuni
sul lavoro poiché, per l’addebito di colpa specifica, è sufficiente che l’evento dannoso si sia
verificato a causa della violazione del disposto dell’art. 2087 cod. civ., che pone a carico
dell’imprenditore l’adozione, nell’esercizio dell’impresa, delle misure che secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei lavoratori.
Il datore di lavoro è quindi destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso e
quindi di tutelare l’integrità del lavoratore.
L’individuazione dei nuovi reati è fatta dall’articolo 25-septies attraverso il rimando alle
fattispecie previste dagli articoli 589 e 590 del codice penale, precisando che i delitti ivi
previsti devono essere stati commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e
sicurezza sul lavoro.
Il Modello ex Decreto 231 deve essere calibrato al fine di prevenire i reati indicati (omicidio e
lesioni colpose gravi o gravissime) e si aggiunge all’apparato di governance già esistente in
tema di sicurezza.
Ciò comporta, sinteticamente, che accanto alle funzioni tipiche e istituzionali previste dal testo
unico sulla sicurezza (quindi per esempio il SPP e il RSPP) vi sarà un altro organismo di
vigilanza e controllo, (l’ODV) con funzioni e specificità tali da non poter essere ritenuto una
mera duplicazione di altri organi (eventualmente) già presenti (e funzionanti) in società.
Nonostante le evidenti difficoltà rappresentate dal coordinamento tra la struttura dei nuovi
illeciti penali introdotti dalla legge n. 123 e i principi introdotti dal Decreto, tra cui, quello
relativo all’individuazione dell’interesse o del vantaggio raggiunto dall’ente nella
commissione dei reati, pare oltremodo evidente che la Società dovrà profondere un intenso
impegno (oltre naturalmente alle conseguenti risorse economiche) al fine di rispettare la
normativa esistente in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il sistema sanzionatorio previsto dall’articolo 25-septies prevede il ricorso ad una sanzione
pecuniaria (diversamente modulata a seconda del tipo di violazione commessa dal datore di
lavoro) e ad una sanzione interdittiva (tra quelle previste dall’art. 9 c. 2 del decreto n. 231).
Per avere efficacia esimente in questa delicata materia, il Modello:
(a) deve scaturire da una visione reale ed economica dei fenomeni aziendali;
(b)deve tenere conto delle singole specificità della società coinvolta, basandosi su
un’analisi dei rischi e un’individuazione dei protocolli di prevenzione estremamente
attenta ai profili specifici (mappatura dei rischi ad hoc o tailor made);
(c) deve essere costantemente monitorato e aggiornato;
(d)deve essere adeguatamente comunicato al personale, ai consulenti, partners, ecc.
attraverso un’attività di formazione specificamente calibrata, come indicato nella Parte
Generale, sui singoli soggetti, sui diversi rischi – reato che riguardano ciascuno, sulle
diverse funzioni di ognuno.
XI – RICETTAZIONE E RICICLAGGIO.
§ 1 – La tipologia dei reati in tema di ricettazione e riciclaggio.
Il D.Lgs. 21.11.2007, n. 231 (di seguito Decreto Antiriciclaggio) ed il D.Lgs. 22.6.2007 n. 109, in
attuazione di disposizioni comunitarie (Direttiva 2005/60/CE, c.d. “Terza direttiva
antiriciclaggio”) hanno riordinato la normativa in tema di prevenzione dell’utilizzo del
sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di contrasto al
finanziamento del terrorismo.
Il Decreto Antiriciclaggio ha infatti ampliato la precedente disciplina sulla responsabilità
amministrativa degli Enti. Fino all’introduzione del menzionato Decreto la responsabilità
amministrativa degli Enti sorgeva: in presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di carattere
generale, ed in particolare in presenza di reati commessi da parte di un soggetto apicale o di
un suo sottoposto, nell’interesse o a vantaggio dell’Ente medesimo, soltanto se i medesimi
fossero stati commessi con la specifica finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico (ai sensi della previsione dell’art. 25 quater del D.Lgs. 231/2001), oppure se
commessi in ambito transnazionale (ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 10 L. n. 146/2006, ora
abrogati dal Decreto antiriciclaggio).
I reati di ricettazione, riciclaggio e impiego illecito sono ora contemplati dall’art. 25 octies del
D.Lgs. 231/2001, introdotto dal Decreto antiriciclaggio, e possono comportare la
responsabilità dell’Ente, oltre che nelle specifiche ipotesi di condotte strumentali a finalità di
terrorismo o di eversione dell’ordine democratico anche qualora non presentino le
caratteristiche di trans nazionalità in precedenza previste.
La nuova disciplina prevista dal Decreto Antiriciclaggio prevede inoltre un rafforzamento dei
controlli con specifici adempimenti posti a carico delle banche e degli intermediari finanziari,
ed in particolare:
– adeguata verifica della clientela;
– registrazione e conservazione della documentazione delle operazioni;
– segnalazione di operazioni sospette;
– comunicazioni delle violazioni dei divieti in tema di denaro contante e dei titoli al portatore;
– comunicazione da parte degli Organi di controllo dell’Ente delle infrazioni riscontrate.
Il Decreto antiriciclaggio prevede sanzioni in caso di violazione degli obblighi di controllo
sopra elencati , al fine di istituire una tutela preventiva, che prescinde dal ricorrere nelle
concrete fattispecie di ipotesi di riciclaggio, ma che mira comunque ad assicurare il rispetto
dei fondamentali principi della approfondita conoscenza della clientela e della tracciabilità
delle transazioni, al fine di scongiurare anche il mero pericolo di inconsapevole
coinvolgimento degli intermediari finanziari in fatti di ricettazione, riciclaggio e impiego
illecito di capitali.
La violazione di detti obblighi di controllo, pur sanzionata, non comporta di per sé la
responsabilità amministrativa dell’Ente ai sensi del Decreto. Tuttavia qualora l’operatore
dell’Ente contravvenisse a detti adempimenti nella consapevolezza della provenienza illecita
dei beni oggetto delle operazioni, potrebbe essere chiamato a rispondere per i predetti reati, e
potrebbe quindi conseguirne anche la responsabilità amministrativa dell’Ente ai sensi del
Decreto.
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Ricettazione (art. 648 c.p.)
Commette il reato di ricettazione chiunque, allo scopo di procurare a sé o ad altri un profitto,
acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, alla cui
commissione non ha partecipato, o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere od
occultare.
Per tale reato è richiesta la presenza di dolo specifico da parte di chi agisce, e cioè la coscienza
e la volontà di trarre profitto, per sé stessi o per altri, dall’acquisto, ricezione od occultamento
di beni di provenienza delittuosa.
È inoltre richiesta la conoscenza della provenienza delittuosa del denaro o del bene; la
sussistenza di tale elemento psicologico potrebbe essere riconosciuta in presenza di
circostanze gravi ed univoche quali ad esempio la qualità e le caratteristiche del bene, le
condizioni economiche e contrattuali inusuali dell’operazione, la condizione o la professione
del possessore dei beni da cui possa desumersi che nel soggetto che ha agito poteva formarsi
la certezza della provenienza illecita del denaro o del bene.
Riciclaggio (art. 648-bis c.p.)
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui il soggetto agente, che non abbia concorso alla
commissione del delitto sottostante, sostituisca o trasferisca denaro, beni od altre utilità
provenienti da un delitto non colposo, ovvero compia in relazione ad essi altre operazioni, in
modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
La norma va interpretata come volta a punire coloro che, consapevoli della provenienza
delittuosa di denaro, beni o altre utilità, compiano le operazioni descritte, in maniera tale da
creare in concreto difficoltà alla scoperta dell’origine illecita dei beni considerati. Non è
richiesto, ai fini del perfezionamento del reato, l’aver agito per conseguire un profitto o con lo
scopo di favorire gli autori del reato sottostante ad assicurarsene il provento.
Costituiscono riciclaggio le condotte finalizzate a mettere in circolazione il bene, mentre la
mera ricezione od occultamento potrebbero integrare il solo reato di ricettazione. Con
riferimento ai rapporti bancari, ad esempio, la semplice accettazione di un deposito potrebbe
integrare la condotta di sostituzione tipica del riciclaggio (sostituzione del denaro contante
con moneta scritturale, quale è il saldo di un rapporto di deposito).
Come per il reato di ricettazione, la consapevolezza dell’agente in ordine alla provenienza
illecita può essere desunta da qualsiasi circostanza oggettiva grave ed univoca.
Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.)
La condotta criminosa si realizza attraverso l’impiego in attività economiche o finanziarie di
denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, fuori dei casi di concorso nel reato d’origine
e dei casi previsti dagli articoli 648 (ricettazione) e 648-bis (riciclaggio) c.p.
Rispetto al reato di riciclaggio, pur essendo richiesto il medesimo elemento soggettivo della
conoscenza della provenienza illecita dei beni, l’art. 648-ter circoscrive la condotta all’impiego
di tali risorse in attività economiche o finanziarie. Peraltro, in considerazione della ampiezza
della formulazione della fattispecie del reato di riciclaggio, risulta difficile immaginare
condotte di impiego di beni di provenienza illecita che già non integrino di per sé il reato di
cui all’art. 648-bis c.p.
La normativa italiana in tema di prevenzione dei Reati di Riciclaggio prevede norme tese ad
ostacolare le pratiche di riciclaggio, vietando tra l’altro l’effettuazione di operazioni di
trasferimento di importi rilevanti con strumenti anonimi ed assicurando la ricostruzione delle
operazioni attraverso l’identificazione della clientela e la registrazione dei dati in appositi
archivi.
Autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p.)
Commette il delitto di autoriciclaggio chiunque, avendo commesso o concorso a commettere
un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie,
imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione
di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza
delittuosa
Il Decreto Antiriciclaggio prevede in sostanza i seguenti strumenti di contrasto del fenomeno
del riciclaggio di proventi illeciti:
a) la previsione di un divieto di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito
bancari o postali al portatore o di titoli al portatore (assegni, vaglia postali, certificati di
deposito) in Euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi quando il
valore dell’operazione è pari o superiore al limite di legge. Il trasferimento può tuttavia essere
eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A.;
b) l’obbligo di adeguata verifica della clientela da parte di alcuni soggetti destinatari del
Decreto Antiriciclaggio (elencati agli artt. 11, 12, 13 e 14 del Decreto Antiriciclaggio) in
relazione ai rapporti e alle operazioni inerenti allo svolgimento dell’attività istituzionale o
professionale degli stessi;
c) l’obbligo da parte di alcuni soggetti (elencati agli artt. 11, 12, 13 e 14 del Decreto
Antiriciclaggio) di conservare, nei limiti previsti dall’art. 36 del Decreto Antiriciclaggio, i
documenti o le copie degli stessi e registrare le informazioni che hanno acquisito per
assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela affinché possano essere utilizzati per
qualsiasi indagine su eventuali operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o
per corrispondenti analisi effettuate dall’UIF o da qualsiasi altra autorità competente;
d) l’obbligo di segnalazione da parte di alcuni soggetti (elencati agli artt. 10, comma 2, 11, 12,
13 e 14 del Decreto Antiriciclaggio) all’UIF, di tutte quelle operazioni, poste in essere dalla
clientela, ritenute “sospette” o quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per
sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di
finanziamento al terrorismo.
I soggetti sottoposti agli obblighi precedenti sono:
– gli intermediari finanziari e gli altri soggetti esercenti attività finanziaria. Tra tali soggetti
figurano, ad esempio:
– banche;
– Poste Italiane S.p.A.;
– società di intermediazione mobiliare (SIM);
– società di gestione del risparmio (SGR);
– società di investimento a capitale variabile (SICAV).
– I professionisti, tra i quali si indicano:
– i soggetti iscritti nell’albo dei ragionieri e periti commerciali;
– i notai e gli avvocati quando, in nome e per conto dei loro clienti, compiono qualsiasi
operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i loro clienti in
determinate operazioni;
– i revisori contabili.
– altri soggetti, intesi quali operatori che svolgono alcune attività il cui esercizio resta
subordinato al possesso delle licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla
preventiva dichiarazione di inizio di attività richieste dalle norme. Tra le attività si indicano:
– recupero di crediti per conto terzi;
– trasporto di denaro contante;
– gestione di case da gioco;
– offerta, attraverso internet, di giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro.
L’oggetto materiale dei reati può essere costituito da qualsiasi entità economicamente
apprezzabile e possibile oggetto di scambio, quale il denaro, i titoli di credito, i mezzi di
pagamento, i diritti di credito, i preziosi, i beni materiali ed immateriali in genere. Deve però
trattarsi di bene o utilità proveniente da delitto, vale a dire esso ne deve costituire il prodotto
(risultato, frutto ottenuto dal colpevole con la commissione del reato), il profitto (lucro o
vantaggio economico ricavato dal reato) o il prezzo (compenso dato per indurre, istigare,
determinare taluno alla commissione del reato).
Oltre che dai delitti tipicamente orientati alla creazione di capitali illeciti (ad esempio
concussione, corruzione, appropriazione indebita, traffico di armi o di stupefacenti, usura,
frodi comunitarie) anche i reati in materia fiscale potrebbero dar luogo a proventi oggetto di
riciclaggio.
Si deve evidenziare che nel sistema giuridico italiano non costituisce reato di ricettazione,
riciclaggio o impiego illecito la condotta, corrispondente ad una delle tre fattispecie in esame,
se posta in essere dal medesimo autore del reato di provenienza del bene (cosiddetto
“autoriciclaggio”), in quanto considerata un “normale” sviluppo del crimine precedente, per
conseguirne i vantaggi o metterne al sicuro i risultati; a titolo di
riciclaggio/ricettazione/impiego illecito può essere perseguito solo il terzo estraneo al delitto
d’origine, che cooperi per tali fini con il reo.
Peraltro, il terzo risponderebbe non di riciclaggio, ma a titolo di concorso nel delitto di
provenienza del bene, se avesse promesso il suo aiuto nel riciclare i proventi del reato ancor
prima della commissione dello stesso, rafforzando così il proposito criminoso del reo.
Con specifico riguardo all’attività bancaria e finanziaria, ai fini dell’individuazione della
tipologia delle operazioni con le quali può concretarsi il riciclaggio, va innanzitutto ricordato
che il Decreto antiriciclaggio definisce “operazione” la trasmissione o la movimentazione di
mezzi di pagamento”. Inoltre, il medesimo Decreto all’art. 2 contiene un’elencazione
amplissima di condotte qualificabili come riciclaggio per i soli fini del Decreto, vale a dire,
essenzialmente, per l’individuazione delle ipotesi che fanno sorgere l’obbligo di segnalazione
delle operazioni sospette. Tra queste può ricomprendersi anche l’auto-riciclaggio che, come
detto, ai sensi della disciplina penale italiana non costituisce reato. Sempre nell’ambito della
predetta elencazione, alcune di tali condotte, oltre che rilevare per i fini del Decreto
antiriciclaggio, concernono comportamenti che potrebbero integrare quantomeno gli estremi
del concorso nei reati in esame, e pertanto detti comportamenti potrebbero far sorgere la
responsabilità amministrativa dell’ente stesso qualora posti in essere da dipendenti o da
soggetti apicali.
Infine, l’elencazione in discorso è atta a ricomprendere anche condotte tipiche di altri reati,
quali il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) che, se connotato dai requisiti della transnazionalità, può costituire reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.
Circa l’elemento soggettivo, come già accennato, i reati in esame devono essere caratterizzati
dalla consapevolezza della provenienza delittuosa del bene. Secondo una interpretazione
particolarmente rigorosa, sarebbe sufficiente anche l’aver agito nel dubbio della provenienza
illecita, accettandone il rischio (cosiddetto dolo indiretto od eventuale).
XII – REATI DI OFFESA AL DIRITTO DI AUTORE.
§ 1 – I reati di offesa al diritto di autore, all’industria ed al commercio.
In tempi recenti, l’elenco dei reati suscettibili di determinare la responsabilità amministrativa
di un Ente è stato ulteriormente ampliato: è stata infatti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.
176 del 31 luglio 2009 (supplemento ordinario n. 136) la Legge n. 99/09 del 23 luglio 2009,
recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia
di energia”, che introduce (art. 15, co. 7) nel Decreto il nuovo articolo 25-bis.1 “Delitti contro
l’industria e il commercio” e 25- novies “Delitti in materia di violazione del diritto d’autore”,
oltre a modificare l’articolo 25-bis.
§ 2 – Analisi della fattispecie.
Art. 171 comma 1 lettera a –bis) e c) Legge 22 aprile 1941 n. 633
Salvo quanto disposto dall’art. 171-bis e dall’articolo 171-ter è punito con la multa da euro 51 a
euro 2.065 chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma:
a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche,
mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa;
c) compie i fatti indicati nelle precedenti lettere mediante una delle forme di elaborazione
previste da questa legge;
1-bis. Chiunque commette la violazione di cui al primo comma, lettera a-bis), è ammesso a
pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima dell’emissione del decreto penale di
condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo della pena stabilita dal primo
comma per il reato commesso, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato. La
pena è della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a euro 516 se i reati di cui
sopra sono commessi sopra una opera altrui non destinata alla pubblicità, ovvero con
usurpazione della paternità dell’opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra
modificazione dell’opera medesima, qualora ne risulti offesa all’onore od alla reputazione
dell’autore. La violazione delle disposizioni di cui al terzo ed al quarto comma dell’articolo 68
comporta la sospensione della attività di fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione
da sei mesi ad un anno nonché la sanzione amministrativa pecuniaria da da euro 1.032 a euro
5.164.
Art. 171-bis Legge 22 aprile 1941 n. 633
1. Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai
medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o
concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana
degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della
multa da euro 2.582 a euro 15.493. La stessa pena si applica se il fatto concerne qualsiasi mezzo
inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l’elusione funzionale di
dispositivi applicati a protezione di un programma per elaboratori. La pena non è inferiore nel
minimo a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di rilevante gravità.
2. Chiunque, al fine di trarne profitto, su supporti non contrassegnati SIAE riproduce, trasferisce
su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico il contenuto di una
banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 64-quinquies e 64-sexies, ovvero
esegue l’estrazione o il reimpiego della banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli
articoli 102-bis e 102-ter, ovvero distribuisce, vende o concede in locazione una banca di dati, è
soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da euro 2.582 a euro
15.493. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il
fatto è di rilevante gravità.
Art. 171-ter Legge 22 aprile 1941 n. 633
1. È punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni
e con la multa da euro 2.582 a euro 15.493 chiunque a fini di lucro:
a) abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi
procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo,
cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro
supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o
audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento;
b) abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere
o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammaticomusicali, ovvero multimediali, anche se Parte Speciale – Industria Commercio Diritti d’Autore
inserite in opere collettive o composite o banche dati;
c) pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione, introduce nel territorio dello Stato,
detiene per la vendita o la distribuzione, o distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o
comunque cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con
qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio, fa ascoltare in pubblico le duplicazioni o
riproduzioni abusive di cui alle lettere a) e b);
d) detiene per la vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede a qualsiasi
titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della radio o della televisione con qualsiasi
procedimento, videocassette, musicassette, qualsiasi supporto contenente fonogrammi o
videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in
movimento, od altro supporto per il quale è prescritta, ai sensi della presente legge, l’apposizione
di contrassegno da parte della Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.), privi del
contrassegno medesimo o dotati di contrassegno contraffatto o alterato;
e) in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo
un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione
di trasmissioni ad accesso condizionato;
f) introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce,
vende, concede in noleggio, cede a qualsiasi titolo, promuove commercialmente, installa
dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l’accesso ad un servizio criptato
senza il pagamento del canone dovuto.
f-bis) fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la
vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti
ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci
misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti,
adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure.
Fra le misure tecnologiche sono comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della
rimozione delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei titolari dei diritti
o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di
provvedimenti dell’autorità amministrativa o giurisdizionale;
h) abusivamente rimuove o altera le informazioni elettroniche di cui all’articolo 102 quinquies,
ovvero distribuisce, importa a fini di distribuzione, diffonde per radio o per televisione, comunica
o mette a disposizione del pubblico opere o altri materiali protetti dai quali siano state rimosse o
alterate le informazioni elettroniche stesse.
2. È punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da da euro 2.582 a euro
15.493 chiunque:
a) riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio,
cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere
tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi;
a-bis) in violazione dell’art. 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema
di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal
diritto d’autore, o parte di essa;
b) esercitando in forma imprenditoriale attività di riproduzione, distribuzione, vendita o
commercializzazione, importazione di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi, si
rende colpevole dei fatti previsti dal comma 1;
c) promuove o organizza le attività illecite di cui al comma 1.
3. La pena è diminuita se il fatto è di particolare tenuità.
4. La condanna per uno dei reati previsti nel comma 1 comporta:
a) l’applicazione delle pene accessorie di cui agli articoli 30 e 32-bis del codice penale;
b) la pubblicazione della sentenza in uno o più quotidiani, di cui almeno uno a diffusione
nazionale, e in uno o più periodici specializzati;
c) la sospensione per un periodo di un anno della concessione o autorizzazione di diffusione
radiotelevisiva per l’esercizio dell’attività produttiva o commerciale.
5. Gli importi derivanti dall’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai precedenti commi
sono versati all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i pittori e scultori, musicisti,
scrittori ed autori drammatici.
Art. 171-septies Legge 22 aprile 1941 n. 633.
1. La pena di cui all’articolo 171-ter, comma 1, si applica anche:
a) ai produttori o importatori dei supporti non soggetti al contrassegno di cui all’articolo 181-
bis, i quali non comunicano alla SIAE entro trenta giorni dalla data di immissione in commercio
sul territorio nazionale o di importazione i dati necessari alla univoca identificazione dei
supporti medesimi;
b) salvo che il fatto non costituisca più grave reato, a chiunque dichiari falsamente l’avvenuto
assolvimento degli obblighi di cui all’articolo 181-bis, comma 2, della presente legge.
Art. 171-octies Legge 22 aprile 1941 n. 633.
1. Qualora il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni e con la multa da euro 2.582 a euro 25.822 chiunque a fini fraudolenti produce, pone in
vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o
parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato
effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale. Si intendono ad
accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma
tale da rendere gli stessi . visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto
che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la
fruizione di tale servizio.
2. La pena non è inferiore a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di
rilevante gravità.
XIII – I REATI TRANSNAZIONALI E CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.
§ 1 – I reati transnazionali.
L’espressione di reati transnazionali fa riferimento ad una serie di figure delittuose che si
caratterizzano principalmente per la presenza di condotte che estendono il proprio
svolgimento o i propri effetti in più di un paese.
I reati contro l’amministrazione della giustizia sono invece condotte miranti a creare intralcio
o ritardo all’attività giurisdizionale (in senso ampio).
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Legge 16 marzo 2006, n. 146
All’art. 10 (Responsabilità amministrativa degli enti) della legge n. 146 del 2006 è prevista
l’estensione della disciplina del d.lgs. n. 231 del 2001 in riferimento ad alcuni reati, ove
ricorrano le condizioni di cui all’art. 3, ossia ove il reato possa considerarsi transnazionale.
In questo caso, non sono state inserite ulteriori disposizioni nel corpo del Decreto. La
responsabilità deriva da un’autonoma previsione contenuta nel predetto art. 10 della legge n.
146/2006, il quale stabilisce le specifiche sanzioni amministrative applicabili ai reati
sopradetti.
La finalità del decreto n. 231/2007 consiste nella protezione del sistema finanziario dal suo
utilizzo a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Tale tutela viene attuata con la
tecnica della prevenzione per mezzo di apposite misure e obblighi di comportamento per una
vasta platea di soggetti individuati agli artt. 11, 12, 13 e 14 (banche, intermediari finanziari,
professionisti, revisori contabili, PA, ecc.). A tal proposito, merita di essere considerato l’art.
52 del decreto che obbliga i diversi organi di controllo di gestione esistenti negli enti, tra cui
l’ODV, a vigilare sull’osservanza della normativa antiriciclaggio e a comunicare le violazioni
della relativa disciplina di cui vengano a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti o di cui
abbiano altrimenti notizia. Tali obblighi di comunicazione riguardano in particolar modo le
possibili infrazioni relative alle operazioni di registrazione, segnalazione e ai limiti all’uso di
strumenti di pagamento e di deposito (contante, titoli al portatore, conti e libretti di risparmio
anonimi o con intestazioni fittizie) e sono destinati ad avere effetto sia verso l’interno
dell’ente (titolare dell’attività o legale rappresentante) che verso l’esterno (autorità di
vigilanza di settore, Ministero Economia e Finanze, Unità di Informazione Finanziaria presso
la Banca d’Italia).
L’articolo 10 della Convenzione così recita:
“1. Ogni Stato Parte adotta misure necessarie, conformemente ai suoi princìpi giuridici, per
determinare la responsabilità delle persone giuridiche che partecipano a reati gravi che
coinvolgono un gruppo criminale organizzato e per i reati di cui agli artt. 5, 6, 8 e 23 della
presente Convenzione.
2. Fatti salvi i princìpi giuridici dello Stato Parte, la responsabilità delle persone giuridiche può
essere penale, civile o amministrativa.
3. Tale responsabilità è senza pregiudizio per la responsabilità penale delle persone fisiche che
hanno commesso i reati.
4. Ogni Stato Parte si assicura, in particolare, che le persone giuridiche ritenute responsabili ai
sensi del presente articolo siano soggette a sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, di
natura penale o non penale, comprese sanzioni pecuniarie.”
disponendo – in via di richiamo – nell’ultimo comma che “agli illeciti amministrativi previsti dal
presente articolo si applicano le disposizioni di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231”.
Ai sensi dell’art. 3 della legge sopra menzionata si considera reato transnazionale “il reato
punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia
coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: – sia commesso in più di uno Stato;
– ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione,
pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;
– ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato
impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
– ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.”
Per “gruppo criminale organizzato” ai sensi della citata Convenzione si intende “un gruppo
strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di
concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla convenzione, al fine di
ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio
materiale”.
Con riferimento ai reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente, l’art. 10
della legge n. 146 del 2006 annovera le fattispecie di seguito indicate:
Reati di associazione
– associazione per delinquere (art. 416 c.p.);
– associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.);
– associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri
(art. 291- quater del Testo Unico di cui al DPR n. 43 del 1973);
– associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74
del Testo Unico di cui al DPR n. 309 del 1990).
Reati concernenti il traffico di migranti
– traffico di migranti (art. 12 commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 del Testo Unico di cui al d.lgs. n. 286 del
1998).
Reati di intralcio alla giustizia
– induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’Autorità
giudiziaria (art. 377-bis c.p.);
– favoreggiamento personale (art. 378 c.p).
Alla commissione dei reati transnazionali sopra elencati, è prevista in conseguenza
l’applicazione all’ente delle sanzioni amministrative sia pecuniarie che interdittive (a
eccezione dei reati di intralcio alla giustizia per i quali è prevista la sola sanzione pecuniaria).
Il citato d.lgs. n. 231/2007 ha abrogato le norme contenute nella legge n. 146/2006 con
riferimento agli articoli 648-bis e 648-ter c.p. (riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di
provenienza illecita), divenuti sanzionabili, ai fini del d.lgs. n. 231/2001, indipendentemente
dalla caratteristica della transnazionalità.
Si riporta di seguito la sintetica descrizione delle fattispecie di reato presupposto richiamate
dalla legge n. 146 del 2006.
Associazione per delinquere (art. 416 c.p.)
La fattispecie di delitto in esame si realizza quando tre o più persone si associano allo scopo di
commettere più delitti. L’art. 416 c.p. punisce coloro che promuovono o costituiscono od
organizzano l’associazione. Anche il solo fatto di partecipare all’associazione costituisce reato.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. La pena è aumentata se il
numero degli associati è di dieci o più.
L’art. 416, primo comma, c.p.3, subordina la punibilità al momento in cui (al “quando”) “tre o
più persone” si sono effettivamente “associate” per commettere più delitti.
Associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.)
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che
ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o
comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e
servizi pubblici e per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di
impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in
occasione di consultazioni elettorali.
Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art.
291-quater del Testo Unico di cui al DPR n. 43 del 1973) L’associazione per delinquere
finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri si ha quando tre o più persone si
associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 291-bis c.p. (che
punisce chi introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un
quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi
convenzionali). Coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano
l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a otto anni.
Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74
del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 309 del 1990).
L’associazione è finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope quando tre
o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’art. 73
dello stesso D.P.R. n. 309/1990 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze
stupefacenti o psicotrope). Chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia
l’associazione é punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni.
Traffico di migranti (art. 12 commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 del Testo Unico di cui al d.lgs. n. 286 del
1998).
L’art. 12 del Testo Unico di cui al d.lgs. n. 286 del 1998 prevede anzitutto la fattispecie, nota
come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, consistente nel fatto di chi “in
violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare l’ingresso
nel territorio dello Stato di uno straniero”.
La seconda fattispecie, contenuta nell’art. 12 e nota come favoreggiamento dell’emigrazione
clandestina, consiste nel fatto di chi “compie (…) atti diretti a procurare l’ingresso illegale in
altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”.
“Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che
promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la
reclusione da tre a sette anni”.
Caratteristiche della partecipazione all’associazione sono la permanenza nel reato, ossia
l’affidamento che l’associazione può fare sulla presenza costante del partecipe, e l’affectio
societatis, cioè l’adesione al programma associativo e la volontà di realizzarlo.
Il Legislatore prevede una sanzione più elevata quando i fatti di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina ovvero di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina sono
posti in essere “al fine di trarre profitto anche indiretto”.
Il comma 3-bis dell’art. 12 dispone l’aumento delle pene di cui al primo e al terzo comma se:
– “il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più
persone;
– per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la
sua vita o la sua incolumità;
– per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento
inumano o degradante;
– il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali
di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti”.
Il comma 3-ter dell’art. 12 prevede che le pene sono altresì aumentate “se i fatti di cui al terzo
comma sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque
allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite
al fine di favorirne lo sfruttamento”.
Il quinto comma dell’art. 12 prevede un’ulteriore ipotesi di illecito penale, nota come
favoreggiamento della permanenza clandestina, consistente nel fatto di chi “al fine di trarre un
ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a
norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in
violazione delle norme del presente testo unico”.
Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’Autorità
giudiziaria (art. 377-bis c.p.)
L’art. 377-bis c.p. sanziona le condotte poste in essere da chiunque, facendo ricorso ai mezzi
della violenza, della minaccia o della “offerta o promessa di denaro o di altra utilità”, induca a
non rendere dichiarazioni, ovvero a renderle mendaci, tutti coloro che sono chiamati a
rendere, davanti alla autorità giudiziaria, dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale,
nel caso in cui abbiano facoltà di non rispondere.
Favoreggiamento personale (art. 378 c.p.)
L’art. 378 c.p. reprime la condotta di chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la
legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta
taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa. Tale
disposizione, per espressa menzione dell’ultimo comma dell’art. 378 c.p., si applica anche
quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.
É necessario, per la consumazione del reato, che la condotta di aiuto tenuta dal favoreggiatore
sia almeno potenzialmente lesiva delle investigazioni delle autorità.
XIV – GLI ECO-REATI.
§ 1 – Gli eco-reati.
Con l’espressione di “eco-reati”, ormai invalsa nel linguaggio dei pratici, si usa fare riferimento
ad una serie di figure delittuose che si caratterizzano principalmente per la presenza di
condotte, attive o omissive, dotate di carica offensiva – potenziale o attuale – nei confronti del
bene giuridico “ambiente”, nelle sue varie componenti.
Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 177 del 1 agosto 2011 è stato pubblicato il D. Lgs.
7/7/2011, n. 121, recante “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale
dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE
relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”.
Il provvedimento, composto da cinque articoli, è entrato in vigore il 16 agosto 2011. Oltre ad
recepire nell’ordinamento interno una notevole serie di precetti di provenienza UE (Direttiva
2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela
penale dell’ambiente; Direttiva 2009/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21
ottobre 2009), l’intervento sopra segnalato ha determinato l’inserimento di alcuni reati
ambientali nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli Enti previsti dal d. lgs.
8 giugno 2001, n. 231.
In particolare, il Legislatore ha selezionato alcune figure di reato già previste
dall’ordinamento penale, nonché quelle introdotte all’uopo dalla novella contenuta nel D. Lgs.
7/7/2011, n. 121, e cioè quelle di cui agli artt. 727-bis e 733-bis cod. pen. È stato così inserito
all’art. 25-undecies del Decreto, correggendo, peraltro, la numerazione che, a seguito delle
ultime modifiche normative conteneva due articoli 25-nonies, con problemi di
coordinamento, un nuovo catalogo di reati presupposto della responsabilità degli Enti
che ricomprende numerose fattispecie.
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Fra i reati presupposto, si segnalano innanzitutto una serie di figure delittuose collegate alle
condotte:
(a) di scarico di acque reflue industriali, senza autorizzazione, o quando lo scarico sia
effettuato o mantenuto nonostante la intervenuta sospensione o revoca
dell’autorizzazione, con il relativo corredo di circostanze aggravanti, ove quando lo
scarico contenga sostanze pericolose comprese in determinate famiglie, o quando
siano superati i limiti di concentrazione ammessi; assume altresì rilevanza l’ipotesi in
cui siano violate le prescrizioni inerenti l’installazione e la gestione di strumenti di
controllo automatico, o gli obblighi inerenti alla conservazione dei risultati di detto
controllo (art. 137 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(b)di scarico di acque reflue sul suolo, quando non ricorrano le speciali situazioni
emergenziali ammesse dal Legislatore (art.103 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(c) di scarico di acque reflue nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, fatte salve le
particolari ipotesi di scarichi in falda sfruttata per scopi geotermici, delle acque di
infiltrazione di miniere e cave, delle acque sfruttate per impianti di scambio termico
(art. 104 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(d)di scarico di acque reflue industriali in reti fognarie, quando siano superati i valori
parametrali limite vigenti o quando siano comunque violate le prescrizioni adottate
dall’Autorità d’ambito (art.107 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(e) di scarico di sostanze pericolose, quando la concentrazione delle medesime superi i
limiti vigenti o comunque consentiti, indipendentemente dall’ambiente nel quale è
effettuato lo scarico.
Assumono poi rilevanza alcune condotte inerenti o collegate alla gestione dei rifiuti, come ad
esempio:
(a) la gestione di rifiuti non autorizzata (o non previamente notificata, quando ciò sia
sufficiente), intendendosi nella espressione “gestione” tutte le attività rilevanti in
materia di rifiuti, ovverossia: raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e
intermediazione (art. 256 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(b)l’abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti, così come la loro immissione nelle
acque superficiali o sotterranee. La fattispecie, peraltro confusamente, era già stata
oggetto di attenzione per quanto riguarda la responsabilità degli Enti, in quanto il
Legislatore aveva già fatto – in sede di legislazione ambientale – un riferimento a tale
tipo di responsabilità, quale conseguenza del reato presupposto in esame (cfr. art. 192
D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(c) la miscelazione di rifiuti pericolosi, o di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi
(art.187 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(d)la causazione dell’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o
delle acque sotterranee, mediante superamento delle concentrazioni fissate nelle
soglie di rischio, salvo che non si provveda a integrale bonifica del sito inquinato;
(e) il trasporto di rifiuti pericolosi, senza formulario, o con indicazioni incomplete o
inesatte (art. 258 D. Lgs. 3/4/2006, n. 152);
(f) il traffico illecito di rifiuti, o la spedizione non autorizzata di rifiuti (art. 259 D. Lgs.
3/4/2006, n. 152).
Si aggiungono alle fattispecie sopra menzionate una serie di ipotesi non omogenee, fra le quali
merita di essere menzionata quella prevista dalla nuova disposizione di cui all’art. 727bis c.p.,
con la quale è sanzionata la condotta di chi uccide, distrugge, cattura, preleva o detiene
esemplari di specie animali o vegetali protette.
Una certa attenzione meritano anche le figure delittuose previste dalla Legge 28/12/1993 n.
549 che presidia mediante tutela penale la fascia dell’ozono nonché le fattispecie previste nel
D. Lgs. 6/11/2007, n. 202, che puniscono l’inquinamento doloso e colposo dell’ambiente
marino realizzato mediante lo scarico delle navi.
Quanto all’apparato sanzionatorio, merita di essere segnalato che la applicazione di misure
interdittive temporanee è stata infatti riservata soltanto ai casi in cui i reati da cui scaturisce
la responsabilità dell’ente siano quelli previsti, rispettivamente:
(a) dall’art. 137, commi 2, 5 secondo periodo, e 11 d. lgs. n. 152/2006;
(b)dall’art. 256, comma 3 d. lgs. n. 152/2006;
(c) dall’art. 260 d. lgs. n. 152/2006;
(d)dagli artt. 8, commi 1 e 2, e 9, comma 2 d.lgs. n. 202/2007.
La novella ha previsto anche l’applicazione della sanzione più grave tra quelle previste dal
Decreto, e cioè quella dell’interdizione definitiva dall’esercizio dall’attività, ma solo in due
ipotesi, ossia nell’ipotesi in cui l’ente o una sua attività organizzativa vengano stabilmente
utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire od agevolare la commissione dei reati di:
(a) associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti (art. 260 d. lgs. n. 152/2006);
(b) sversamento in mare doloso di materie inquinanti (artt. 8, commi 1 e 2 d.lgs. n.
202/2007).
La sanzione pecuniaria è invece prevista in relazione a tutte le ipotesi per cui è stata
configurata la responsabilità dell’Ente.
La stessa è stata diversamente articolata in proporzione alla ritenuta diversa gravità dei reati
presupposto cooptati nel catalogo di cui all’art. 25-undecies.
In tal senso la cornice edittale più significativa prevista dalla novella risulta dunque quella
riservata alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260, comma 1 del
codice dell’ambiente e la cui forbice è compresa tra il minimo di quattrocento e quello di
ottocento quote, che, una volta determinato il valore della singola quota ai sensi dell’art. 10
del Decreto, comporta – in ipotesi – l’irrogabilità di una sanzione pecuniaria massima pari ad
Euro 1.239.200.
In realtà le soglie massime edittali previste in relazione ai più comuni reati presupposto in
materia ambientale presi in considerazione dalla novella sono meno severe, variando
mediamente tra le centocinquanta e le duecentocinquanta quote e comportando dunque
l’irrogabilità di sanzioni che, sempre nella loro massima entità, possono variare al più tra Euro
232.250 ed Euro 387.250.
XV – LOTTA ALL’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE- RAZZISMO E XENOFOBIA
§ 1 – In sintesi.
I contenuti del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono stati oggetto di integrazione a seguito di due
distinti interventi legislativi, dei quali si intende qui dare conto.
Altre fattispecie connesse alla immigrazione irregolare.
Con L. 17/10/2017, n. 161, sono state apportate numerose e sostanziali modifiche al Codice
delle leggi antimafia, al Codice di procedura penale e ad altre disposizioni inerenti al
sequestro ed alla confisca di aziende già appartenenti o condotte da soggetti dediti ad attività
mafiose.
Nel quadro generale della lotta alla criminalità organizzata ed alle attività economiche a
questa collegate, la disposizione di cui all’art. 30, comma 4 della predetta legge ha modificato
l’art. 25duodecies del D. Lgs. 8 giugno 2001, nel senso di qualificare come reato presupposto il
fatto di chi promuova, diriga, organizzi, finanzi o effettui trasporto di stranieri nel territorio
dello Stato, o compia altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello
Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina.
La sanzione prevista è quella pecuniaria, da quattrocento a mille quote, cui si aggiungono, per
la durata non inferiore ad un anno, le sanzioni interdittive previste dalla disposizione di cui
all’art. 9 del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (ossia: interdizione dall’esercizio dell’attività,
sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze, divieto di contrattare con la Pubblica
amministrazione, esclusione da agevolazioni, finanziamenti e contributi).
La stessa legge sopra citata, sempre all’art.30, comma 4, ha ulteriormente modificato l’art.
25duodecies del D. Lgs. 8 giugno 2001, nel senso di assumere a reato presupposto il fatto di
chi, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, favorisce
la permanenza di quest’ultimo nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni
contenute nel TU 25 luglio 1998, n. 286 (c.d. Testo Unico sull’immigrazione).
La sanzione prevista è quella pecuniaria, da cento a duecento quote, cui si aggiungono, per la
durata non inferiore ad un anno, le sanzioni interdittive previste dalla disposizione di cui
all’art. 9 del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (ossia: interdizione dall’esercizio dell’attività,
sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze, divieto di contrattare con la Pubblica
amministrazione, esclusione da agevolazioni, finanziamenti e contributi).
Razzismo e xenofobia.
Con L. 20/11/2017, n. 167 (c.d. Legge comunitaria 2017), e precisamente per il tramite della
disposizione di cui all’art. 5, comma 1, è stata disposta l’introduzione del nuovo articolo 25
terdecies all’interno del D. Lgs. 8/6/2001, n. 231. Mediante tale integrazione, è stato assunto a
reato presupposto il delitto di razzismo e xenofobia, ai sensi del quale è punita la condotta di
propaganda o di istigazione ed incitamento al razzismo ed alla xenofobia, quando si tratti di
condotte fondate in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione grave o sull’apologia
della Shoah, dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come
definiti dalle vigenti convenzioni internazionali.
La sanzione prevista è quella pecuniaria, da duecento a ottocento quote, cui si aggiungono, per
la durata non inferiore ad un anno, le sanzioni interdittive previste dalla disposizione di cui
all’art. 9 del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (ossia: interdizione dall’esercizio dell’attività,
sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze, divieto di contrattare con la Pubblica
amministrazione, esclusione da agevolazioni, finanziamenti e contributi).
XVI – REATI IN MATERIA DI FRODE IN COMPETIZIONI SPORTIVE, ESERCIZIO ABUSIVO
DI GIOCO DI SCOMMESSA E GIOCHI D’AZZARDO A MEZZO APPARECCHI VIETATI
§ 1 – In sintesi.
I contenuti del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono stati oggetto di ulteriore integrazione ad
opera della L. 03.05.2019 n. 39 che ha introdotto il nuovo ar4ticolo 25-quaterdecies (frode in
competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco e scommessa e giochi d’azzardo esercitati a
mezzo apparecchi vietati).
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Il nuovo articolo 25-quaterdecies sopra richiamato prevede la sanzione pecuniaria (fino a 500
quote per i delitti e fino a 260 quote per le contravvenzioni) nonché, per i delitti, le sanzioni
interdittive di cui all’art. 9 c. 2 per una durata non inferiore ad un anno, in relazione alla
commissione dei reati di cui agli articoli 1 e 4 l. 13.12.1989 n. 401.
Art. 1 L.401/89 – Frode in competizioni sportive.
1. Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una
competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico
nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da
altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di
raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della
competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la
reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.
2. Le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra
utilità o vantaggio, o ne accoglie la promessa.
3. Se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e
scommesse regolarmente esercitati, per i fatti di cui ai commi 1 e 2, la pena della reclusione è
aumentata fino alla metà e si applica la multa da euro 10.000 a euro 100.000.
Art. 4 L.401/89 – Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa.
1. Chiunque esercita abusivamente l’organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di
concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, è punito con la
reclusione da tre a sei anni e con la multa da 20.000 a 50.000 euro. Alla stessa pena soggiace chi
comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato
olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall’Unione
italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE). Chiunque abusivamente esercita
l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di
abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un
milione. Le stesse sanzioni si applicano a chiunque venda sul territorio nazionale, senza
autorizzazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, biglietti di lotterie o di analoghe
manifestazioni di sorte di Stati esteri, nonchè a chiunque partecipi a tali operazioni mediante la
raccolta di prenotazione di giocate e l’accreditamento delle relative vincite e la promozione e la
pubblicità effettuate con qualunque mezzo di diffusione. È punito altresì con la reclusione da tre
a sei anni e con la multa da 20.000 a 50.000 euro chiunque organizza, esercita e raccoglie a
distanza, senza la prescritta concessione, qualsiasi gioco istituito o disciplinato dall’Agenzia
delle dogane e dei monopoli. Chiunque, ancorché titolare della prescritta concessione, organizza,
esercita e raccoglie a distanza qualsiasi gioco isituito o disciplinato dall’Agenzia delle dogane e
dei monopoli con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge è punito con l’arresto
da tre mesi a un anno o con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000. 2. Quando si tratta di concorsi,
giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, e fuori dei casi di concorso in uno
dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è
punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire un milione. La stessa
sanzione si applica a chiunque, in qualsiasi modo, dà pubblicità in Italia a giochi, scommesse e
lotterie, da chiunque accettate all’estero. 3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse
gestiti con le modalità di cui al comma 1, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal
medesimo, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un
milione 4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche ai giuochi d’azzardo esercitati
a mezzo degli apparecchi vietati dall’art. 110 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come
modificato dalla legge 20 maggio 1965, n. 507, e come da ultimo modificato dall’art. 1 della
legge 17 dicembre 1986, n. 904. 4 bis. Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a
chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e
successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o
raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via
telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o
all’estero. 4 ter. Fermi restando i poteri attribuiti al Ministero delle finanze dall’articolo 11 del
decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio
1994, n. 133, ed in applicazione dell’articolo 3, comma 228 della legge 28 dicembre 1995, n. 549,
le sanzioni di cui al presente articolo si applicano a chiunque effettui la raccolta o la
prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o
telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze
– Agenzia delle dogane e dei monopoli all’uso di tali mezzi per la predetta raccolta o
prenotazione. 4-quater. L’Agenzia delle dogane e dei monopoli è tenuta alla realizzazione, in
collaborazione con la Guardia di finanza e le altre forze di polizia, di un piano straordinario di
controllo e contrasto all’attività illegale di cui ai precedenti commi con l’obiettivo di
determinare l’emersione della raccolta di gioco illegale.
XVII – REATI TRIBUTARI
§ 1 – Reati Tributari.
I contenuti del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono stati oggetto di ennesima integrazione ad
opera della L. 19.12.2019 n. 159 che ha introdotto il nuovo articolo 25-quiquiesdecies (Reati
tributari).
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Il nuovo articolo 25-quiquiesdecies sopra richiamato prevede la sanzione pecuniaria (fino a
400/500 quote a seconda della fattispecie) nonché le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 c. 2
lettere c), d) ed e).
Trattasi di fattispecie di reato previste dal D.Lgs. 74/2000 e connesse, prevalentemente, a
condotte fraudolente (false fatture, false dichiarazioni, false annotazioni nei libri contabili
etc.) finalizzate a ottenere (per sé o per soggetti terzi) un minor carico fiscale.
Art. 2, c. 1, D.Lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti
1. È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti,
indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie,
o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.”
Art. 2, c. 2bis, D.Lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti
2-bis. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la
reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Art. 3, D.Lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi
1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da tre a otto anni chiunque, al
fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate
oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi
fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione
finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un
ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi,
quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare
complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un
milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute
fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta
medesima o comunque a euro trentamila.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono
registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti
dell’amministrazione finanziaria.
3. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti
la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle
scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi
inferiori a quelli reali.
Art. 8, c. 1, D.Lgs. 74/2000 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti
1. È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi
l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti.
2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più
fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si
considera come un solo reato.
Art. 8, c. 2bis, D.Lgs. 74/2000 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti
2-bis. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo
d’imposta, è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Art. 10, D.Lgs. 74/2000 – Occultamento e distruzione di documenti contabili
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni
chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire
l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui
è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del
volume di affari
Art. 11, D.Lgs. 74/2000 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al
pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni
amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro
cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni
idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se
l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la
reclusione da un anno a sei anni.
2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per
altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione
presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad
euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro
duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
La novella di cui al D.Lgs. 14.07.2020 n. 75 ha esteso la rilevanza ai sensi del Decreto ai delitti
previsti dagli articoli 4, 5 e 10 quater del D.Lgs. 10.03.2020 n. 74, se commessi nell’ambito di
sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un
importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro, prevedendo la sanzione pecuniaria
(fino a 300/400 quote a seconda della fattispecie) nonché le sanzioni interdittive di cui all’art.
9 c. 2 lettere c), d) ed e).
Trattasi, in particolare, delle seguenti fattispecie:
Art. 4, D.Lgs. 74/2000 – Dichiarazione infedele.
1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni
e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in
una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a € 100.000,00;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento
dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è
superiore a € 2.000.000,00.
1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non
corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente
esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati
nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei
criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non
deducibilità di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni
che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle
corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella
verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).
Art. 5, D.Lgs. 74/2000 – Omessa dichiarazione.
1. È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte
sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle
dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento
a taluna delle singole imposte ad € 50.000,00.
1-bis. È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta,
essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare
delle ritenute non versate è superiore ad € 50.000,00
2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la
dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta
o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
Art. 10 quater, D.Lgs. 74/2000 – Indebita compensazione.
1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme
dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a € 50.000,00.
2. È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le
somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto
legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai €
50.000,00.
XVIII – REATI IN MATERIA DI CONTRABBANDO
§ 1 – Reati in materia di contrabbando.
I contenuti del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono stati oggetto di ulteriore integrazione ad
opera del D.Lgs. 14.07.2020 n. 75 che ha introdotto il nuovo articolo 25-sexiesdecies
(Contrabbando).
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Il nuovo articolo 25-sexiesdecies sopra richiamato prevede la sanzione pecuniaria (fino a
200/400 quote, a seconda della fattispecie) nonché le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 c. 2
lettere c), d) ed e).
In particolare, le fattispecie rilevanti sono quelle contenute all’interno del titolo VII del d.p.r.
43/1973 rubricato come “violazioni doganali” il quale si compone di due diversi capi.
Con specifico riferimento al capo I, rubricato come “Contrabbando”, le fattispecie contenute
all’interno dello stesso avranno rilevanza ai fini della valutazione della responsabilità
amministrativa degli enti a condizione che i reati che seguono siano commessi con la finalità
di evadere i diritti di confine per un ammontare superiore a diecimila euro:
– contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi
doganali (art. 282 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nel movimento delle merci nei laghi di confine (art. 283 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nel movimento marittimo delle merci (art. 284 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nel movimento delle merci per via aerea (art. 285 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nelle zone extra-doganali (art. 286 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando per indebito uso di merci importate con agevolazioni doganali (art. 287
d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nei depositi doganali (art. 288 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nel cabotaggio e nella circolazione (art. 289 d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nell’esportazione di merci ammesse a restituzione di diritti (art. 290
d.p.r. 43/1973);
– contrabbando nell’importazione od esportazione temporanea (art. 291 d.p.r.
43/1973);
– contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-bis d.p.r. 43/1973);
– circostanze aggravanti del delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-
ter d.p.r. 43/1973);
– associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art.
291 quater d.p.r. 43/1973);
– altri casi di contrabbando (art. 292 d.p.r. 43/1973);
– pena per il contrabbando in caso di mancato o incompleto accertamento dell’oggetto
del reato (art. 294 d.p.r. 43/1973).
Con riferimento invece alle Contravvenzioni del Titolo VII Capo II rubricato come
“contravvenzioni ed illeciti amministrativi”, le fattispecie contenute all’interno del capo in
analisi avranno rilevanza per la determinazione della responsabilità amministrativa degli enti
ex d.lgs. 231/2001 a condizione che i diritti di confine evasi superino i 10 mila euro, ovvero:
– mancato scarico della bolletta di cauzione. Differenze di quantità (art. 305 d.p.r
43/1973);
– differenze di qualità rispetto alla bolletta di cauzione (art. 306 d.p.r 43/1973);
– differenze nelle merci depositate nei magazzini doganali privati (art. 308 d.p.r
43/1973);
– differenze rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla temporanea importazione
od esportazione (310 d.p.r 43/1973);
– differenze di qualità nella riesportazione a scarico di temporanea importazione
(311d.p.r 43/1973);
– differenze di qualità nella reimportazione a scarico di temporanea esportazione
(312d.p.r 43/1973);
– differenze di quantità rispetto alla dichiarazione per riesportazione e per
reimportazione (313 d.p.r 43/1973);
– inosservanza degli obblighi imposti ai capitani (316 d.p.r 43/1973);
– inosservanza di prescrizioni doganali da parte dei comandanti di aeromobili (317 d.p.r
43/1973);
– pene per le violazioni delle discipline imposte alla navigazione nelle zone di vigilanza
(321 d.p.r 43/1973).
XIX – DELITTI IN MATERIA DI STRUMENTI DI PAGAMENTO DIVERSI DAI CONTANTI
§ 1 – Reati contro il patrimonio culturale.
I contenuti del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono stati oggetto di ulteriore integrazione ad
opera del D.Lgs. 08.11.2021 n. 184 che ha introdotto il nuovo articolo 25-octies 1(Delitti in
materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti).
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Il nuovo articolo 25-octies 1 sopra richiamato prevede la sanzione pecuniaria (di varia entità,
fino ad un massimo di 800 quote con minimo di 300 ovvero un massimo di 500 quote senza
previsione di minimi specifici) nonché le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 c. 2).
Le fattispecie richiamate dall’art. 25-octies 1 sono:
Art. 493-ter c.p. – Indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai
contanti
Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone
titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al
prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, o comunque ogni
altro strumento di pagamento diverso dai contanti è punito con la reclusione da uno a cinque
anni e con la multa da 310 euro a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne
profitto per sé o per altri, falsifica o altera gli strumenti o i documenti di cui al primo periodo,
ovvero possiede, cede o acquisisce tali strumenti o documenti di provenienza illecita o comunque
falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi.
In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo
444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al primo comma è ordinata la confisca
delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del
prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è
possibile, la confisca di beni, somme di denaro e altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un
valore corrispondente a tale profitto o prodotto.
Gli strumenti sequestrati ai fini della confisca di cui al secondo comma, nel corso delle operazioni
di polizia giudiziaria, sono affidati dall’autorità giudiziaria agli organi di polizia che ne facciano
richiesta.
Art. 493-quater c.p. – Detenzione e diffusione di apparecchiature, dispositivi o
programmi informatici diretti a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento
diversi dai contanti
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di farne uso o di consentirne ad
altri l’uso nella commissione di reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti,
produce, importa, esporta, vende, trasporta, distribuisce, mette a disposizione o in qualsiasi
modo procura a se’ o a altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici che, per
caratteristiche tecnico-costruttive o di progettazione, sono costruiti principalmente per
commettere tali reati, o sono specificamente adattati al medesimo scopo, è punito con la
reclusione sino a due anni e la multa sino a 1000 euro.
In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo
444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al primo comma è sempre ordinata la
confisca delle apparecchiature, dei dispositivi o dei programmi informatici predetti, nonché la
confisca del profitto o del prodotto del reato ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di
beni, somme di denaro e altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente
a tale profitto o prodotto.
La previsione, inoltre, contiene anche un richiamo alla previsione aggravata di cui al secondo
comma dell’art. 640 ter c.p. (di seguito verrà sottolineata la previsione richiamata)
Art. 640-ter c.p. – Frode informatica
Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o
intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti
in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto
profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro
51 a euro 1.032.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549 se ricorre
una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il
fatto produce un trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale o è commesso
con abuso della qualità di operatore del sistema.
La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è
commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di
cui al secondo e terzo comma o taluna delle circostanze previste dall’articolo 61, primo comma,
numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento
all’età, e numero 7
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati previsti dagli articoli 518-quater, 518-quinquies,
518-sexies e 518-septies, importa beni culturali provenienti da delitto ovvero rinvenuti a seguito
di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dall’ordinamento dello Stato in cui il
rinvenimento ha avuto luogo, ovvero esportati da un altro Stato in violazione della legge in
materia di protezione del patrimonio culturale di quello Stato, è punito con la reclusione da due
a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 5.165.
L’art. 25 octies 1, infine, contiene – al secondo comma – anche una previsione residuale di
chiusura che così recita:
Salvo che il fatto integri altro illecito amministrativo sanzionato più gravemente, in relazione
alla commissione di ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che
comunque offende il patrimonio previsto dal codice penale, quando ha ad oggetto strumenti di
pagamento diversi dai contanti, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) se il delitto è punito con la pena della reclusione inferiore ai dieci anni, la sanzione pecuniaria
sino a 500 quote;
b) se il delitto è punito con la pena non inferiore ai dieci anni di reclusione, la sanzione
pecuniaria da 300 a 800 quote.
XX – REATI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE
§ 1 – Reati contro il patrimonio culturale.
I contenuti del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono stati oggetto di ulteriore integrazione ad
opera della l. 09.03.2022 n. 22 che ha introdotto i nuovi articoli 25-septiesdecies (Delitti
contro il patrimonio culturale) e 25-duodevicies (Riciclaggio di beni culturali e devastazione e
saccheggio di beni culturali e paesaggistici).
§ 2 – Analisi delle fattispecie.
Il nuovo articolo 25-septiesdecies sopra richiamato prevede la sanzione pecuniaria (da un
minimo di 100 ad un massimo di 900 quote, a seconda della fattispecie) nonché le sanzioni
interdittive di cui all’art. 9 c. 2 per una durata non superiore a due anni).
Il nuovo articolo 25-duodeviciesc sopra richiamato prevede la sanzione pecuniaria (da un
minimo di 500 ad un massimo di 1000 quote) nonché, per il caso in cui l’ente o una sua unità
organizzativa venga utilizzato per lo scopo unico o prevalente della commissione (o
agevolazione alla commissione) dei reati contemplati, è prevista l’applicazione della sanzione
della interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività di cui all’art. 16 c. 3.
Le fattispecie richiamate dall’art. 25-septiesdecies sono:
Art. 518-novies c.p. – Violazioni in materia di alienazione di beni culturali
E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da euro 2.000 a euro 80.000:
1) chiunque, senza la prescritta autorizzazione, aliena o immette sul mercato beni culturali;
2) chiunque, essendovi tenuto, non presenta, nel termine di trenta giorni, la denuncia degli atti di
trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali;
3) l’alienante di un bene culturale soggetto a prelazione che effettua la consegna della cosa in
pendenza del termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia di trasferimento.
Art. 518-ter c.p. – Appropriazione indebita di beni culturali
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di un bene culturale
altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso è punito con la reclusione da uno a quattro anni
e con la multa da euro 516 a euro 1.500.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
Art. 518-decies c.p. – Importazione illecita di beni culturali
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati previsti dagli articoli 518-quater, 518-quinquies,
518-sexies e 518-septies, importa beni culturali provenienti da delitto ovvero rinvenuti a seguito
di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dall’ordinamento dello Stato in cui il
rinvenimento ha avuto luogo, ovvero esportati da un altro Stato in violazione della legge in
materia di protezione del patrimonio culturale di quello Stato, è punito con la reclusione da due
a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 5.165.
Art. 518-undecies c.p. – Uscita o esportazione illecite di beni culturali
Chiunque trasferisce all’estero beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche
disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, senza attestato di libera
circolazione o licenza di esportazione, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la
multa fino a euro 80.000.
La pena prevista al primo comma si applica altresì nei confronti di chiunque non fa rientrare nel
territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali, cose di interesse artistico, storico,
archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto
di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, per i quali siano
state autorizzate l’uscita o l’esportazione temporanee, nonché nei confronti di chiunque rende
dichiarazioni mendaci al fine di comprovare al competente ufficio di esportazione, ai sensi di
legge, la non assoggettabilità di cose di interesse culturale ad autorizzazione all’uscita dal
territorio nazionale.
Art. 518-duodecies c.p. – Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento,
imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici
Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni
culturali o paesaggistici propri o altrui è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la
multa da euro 2.500 a euro 15.000.
Chiunque, fuori dei casi di cui al primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici
propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico
o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità, è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000.
La sospensione condizionale della pena è subordinata al ripristino dello stato dei luoghi o
all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di
attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non
superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza
di condanna.
Art. 518-quaterdecies c.p. – Contraffazione di opere d’arte
È punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 3.000 a euro 10.000:
1) chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura
o grafica ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico;
2) chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in
commercio, detiene per farne commercio, introduce a questo fine nel territorio dello Stato o
comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di
opere di pittura, scultura o grafica, di oggetti di antichità o di oggetti di interesse storico o
archeologico;
3) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti indicati ai numeri 1) e 2)
contraffatti, alterati o riprodotti;
4) chiunque, mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizione di timbri o
etichette o con qualsiasi altro mezzo, accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la
falsità, come autentici opere od oggetti indicati ai numeri 1) e 2) contraffatti, alterati o
riprodotti.
È sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere o
degli oggetti indicati nel primo comma, salvo che si tratti di cose appartenenti a persone
estranee al reato. Delle cose confiscate è vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei
corpi di reato.
Art. 518-bis c.p. – Furto di beni culturali
Chiunque si impossessa di un bene culturale mobile altrui, sottraendolo a chi lo detiene, al fine di
trarne profitto, per sé o per altri, o si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato, in
quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini, è punito con la reclusione da due a sei anni
e con la multa da euro 927 a euro 1.500.
La pena è della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 a euro 2.000 se il
reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 o se
il furto di beni culturali appartenenti allo Stato, in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali
marini, è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca prevista dalla legge.
Art. 518-quater c.p. – Ricettazione di beni culturali
Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista,
riceve od occulta beni culturali provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel
farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la
multa da euro 1.032 a euro 15.000.
La pena è aumentata quando il fatto riguarda beni culturali provenienti dai delitti di rapina
aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, e di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo
629, secondo comma.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui i beni
culturali provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di
procedibilità riferita a tale delitto.
Art. 518-octies c.p. – Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali
Chiunque forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa o, in tutto o in parte, altera,
distrugge, sopprime od occulta una scrittura privata vera, in relazione a beni culturali mobili, al
fine di farne apparire lecita la provenienza, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Chiunque fa uso della scrittura privata di cui al primo comma, senza aver concorso nella sua
formazione o alterazione, è punito con la reclusione da otto mesi a due anni e otto mesi.
Le fattispecie richiamate dall’art. 25-duodevicies sono:
Art. 518-sexies c.p. – Riciclaggio di beni culturali
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce beni culturali provenienti
da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da
cinque a quattordici anni e con la multa da euro 6.000 a euro 30.000.
La pena è diminuita se i beni culturali provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della
reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui i beni
culturali provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di
procedibilità riferita a tale delitto.
Art. 518-terdecies c.p. – Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici
Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio
aventi ad oggetto beni culturali o paesaggistici ovvero istituti e luoghi della cultura è punito con
la reclusione da dieci a sedici anni.